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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 63 – ALLA SOMMITÀ DELLA GLORIA DI DIO
      • 4. Così per nove giorni, poi…
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4. Così per nove giorni, poi…

 

Si trattenne la povera anima mia in questo felice soggiorno nove giornate, godendo un bene tutto spirituale e santo, benché dell’amenità di questo bellissimo luogo io non ne godevo che i soli buoni effetti, per essere stata da Dio bendata nell’intelletto, perciò mi mancava la vista e la cognizione di vedere e speculare l’amenità di questo amenissimo luogo, ma questo non privava l’anima mia di goderne in se stessa i buoni effetti di un puro e santo amore, tutta mi struggevo in santi affetti verso l’amoroso mio Signore, riconoscendomi indegnissima di questi eccelsi favori, passati i suddetti nove giorni, essendo il giorno 26 gennaio 1822. Mancarono alla povera anima i buoni effetti che fino ad allora aveva goduto, e fui sopraffatta da una penosissima desolazione di spirito, il mio intelletto fu oscurato da tenebre densissime, che più non sapevo dove fossi, né dove mi trovassi; mi pareva di aver perduto il mio Dio, piangevo, mi affliggevo, facevo al mio Dio umile ricorso, ma questo non bastava, perché non si faceva da me ritrovare, andava ogni giorno più crescendo a dismisura la mia pena, aggiungendosi a questa pena un grande timore di perdere il mio Dio, e perderlo per sempre. Questo timore era la mia pena maggiore, che mi portava quasi ad agonizzare, e rendeva l’anima all’ultima desolazione. In questo stato di grave afflizione, si giungeva un altro timore, mi pareva che il demonio mi avesse tramato una forte insidia, per la quale dubitavo di essere vittima di questo nemico con l’acconsentire alle sue perverse suggestioni, in questa maniera mi andavo struggendo e consumandomi nell’afflizione, dubitando ogni momento di fare qualche grave offesa al mio Dio, in questo stato di cose altro non facevo che ricorrere umilmente a Dio, trattenendomi lungamente in orazioni, sebbene queste orazioni erano ripiene di affanni e di amarezze; perché, se mi trattenevo a considerare l’infinita bontà di Dio, vieppiù mi affliggevo al riflesso della mia grande ingratitudine; se meditavo la passione di Gesù Cristo, questa mi rimproverava la mia cattiva corrispondenza, sicché mi pareva sempre di essere perseguitata giustamente dalla divina giustizia.

Oltre a ciò altri affanni e pene che mi facevano propriamente agonizzare, si aggiungeva a queste pene un grandissimo desiderio di possedere Dio e possederlo per sempre. Io lo speravo negli infiniti meriti di Gesù Cristo, ma dicevo a me stessa: «Anima mia, e chi ti assicura di corrispondere alla grazia, senza la quale corrispondenza non puoi certamente salvarti? Osserva quanto già ne abusasti, a quante grazie tu non hai corrisposto! Epotrà Dio più soffrire tanto eccesso di tua ingratitudine? Sarà obbligato di certo a condannarti all’inferno per tutta l’eternità».

A tutti questi riflessi, qual funesto quadro mi si presentava alla mente, non è spiegabile, tutte le ingratitudini usate verso il mio Dio facevano prova di levarmi la vita. Per l’eccessivo dolore piangevo dirottamente le mie ingratitudini, le detestavo di vero cuore e con proposito fermo e stabile promettevo di non dare a Dio mai più il minimo disgusto; ma tutto questo non giovava a rendere contento il mio cuore, mesto e dolente, che, sopraffatto da una profonda mestizia, dubitava ogni momento di fare qualche grave offesa a Dio.

Esaminavo rigorosamente la mia coscienza, e non trovavo alcuna cosa che mi gravava, mentre dei peccati, dopo averli confessati nella sacramentale confessione, trovavo di averli sempre pianti e detestati di vero cuore con vero proposito di morire mille volte, che tornare ad offendere Dio; cercavo ancora quali fossero i miei desideri, e trovavo che non sono che di piacere al mio Dio e di adempire, in tutti i momenti della mia vita, la sua santissima volontà, vivendo tutta abbandonata al suo divino beneplacito, questi erano nelle mie orazioni i sentimenti più frequenti e venivano da me ratificati nella giomata con molta frequenza.

Eppure, chi lo crederebbe? il mio povero spirito non ne trovava alcun sollievo, trovava solo pene, afflizioni, travagli e angustie.

 




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