Il dì 15 febbraio 1822, mi trattenevo in
cappella ad orare, come già dissi, si sollevò ad un tratto il mio spirito e da
perfetta quiete fui sopraffatta. In questo tempo vidi il mio spirito che stava
in un’orrida foresta, tutta intralciata di montuosi boschi e solitarie selve,
che il solo vedere luogo così deserto e afflittivo intimoriva il mio cuore. La
maggior pena era sentirsi in quel solitario luogo, lo strepitio ed il ruggito
di molti animali feroci le cui grida facevano terrore; questi animali feroci,
io ben conoscevo, erano i miei spietati nemici, che tutti congiurati contro di
me, cercavano a tutti i costi di spaventarmi, perché avessi retrocesso il
cammino, e non mi fossi più inoltrata.In questo solitario luogo vedevo il mio
spirito tremare, ramingo, negletto, vestito di bianca e rozza tonaca, nelle
mani portava un tesoro di grande valore, che cercava con ogni diligenza di
custodire e mettere in salvo, mentre i miei nemici cercavano di involarlo dalle
mie mani: lo vedevo dunque tutta
sollecitudine affrettarsi per il dritto sentiero, per rendere sicuro questo tesoro
dalle mani dei nemici. Obbligato era il mio spirito di portarlo allo scoperto e
nelle proprie mani, a vista dei propri nemici, senza poter loro occultare un
tesoro di s’immenso valore. Questo mi pare che voglia significare, al mio
sciocco parere, che 1’anima non può occultare ai suoi nemici di amare il suo
tesoro che è Dio, deve dunque portarlo allo scoperto, che come nelle mani, a
fronte dei suoi nemici, e dalle loro insidie, dove l’anima, in questo penoso
cammino, fidarsi puramente di Dio e con frequente ricorso pregarlo di
abbreviare questo penoso cammino, che se fosse più lungo, di certo, l’anima non
potrebbe reggere e andrebbe a pericolo di morire, per i gravi patimenti che,
senza una grazia speciale di Dio, non si può a questa sorta di patimenti
sopravvivere.Vedevo dunque il mio spirito affaticato e stanco, per il laborioso
viaggio che aveva già fatto. Era ancora tutto grondante di gelido sudore, per
le pene sofferte, ciò nonostante, non curando la propria fatica, affrettava il
passo, camminando con molta celerità teneva sempre fisso lo sguardo nel suo
amato tesoro, dubitando ad ogni passo, che dai suoi nemici non gli venisse
rapito.
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