Passai le tre feste della Santa Pasqua in
un continuo rapimento di spirito, mentre Dio, per sua bontà, nella santa
Comunione, tornava ad illustrare con i suoi splendidi raggi, la detta nube ed
il mio spirito si trovava non solo illuminato, ma ricolmo di santi affetti
verso Dio, e Dio si degnava favorirmi dei suoi più teneri e casti
abbracciamenti; la povera anima mia intanto si struggeva, si liquefaceva, si
stemperava d’amore al dolce calore di quel sole divino, che tutta intera
possedeva e penetrava l’anima mia, questo bene fu in me poco durevole, perché
passate le tre feste della Santa Pasqua, il giorno 10 di aprile,
improvvisamente mancò il bel sole di giustizia di illuminare la detta nube, per
conseguenza il mio spirito restò affatto privo di luce, e mi trovai coperta di
tante tenebre senza sapere (se) dove ero, se dove mi trovavo.
La pace non mancava al mio cuore, ma tutta rassegnata alla volontà del mio
Dio, che avesse permesso di farmi passare dalla luce alle tenebre in questa
dolorosa situazione lodavo e benedicevo Dio, ma nel mio cuore provavo un dolce
martirio, che tutta mi consumava in santi affetti, desiderando di rintracciare
quella luce che avevo perduta, qual pena sia passare dalla luce alle tenebre,
ognuno lo può immaginare, ma questa luce da me perduta non era sensibile, ma
divina, e per conseguenza, molto maggiore e senza paragone era la mia pena, che
io non posso di certo spiegarlo; solo a Dio è noto certa sorta di patimenti,
che noi non possiamo spiegare. Nove giorni mi trovai in queste folte tenebre,
cioè dal giorno 10 aprile 1822 fino al giorno 19 del detto anno.
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