Il di 19 aprile 1822, primo giorno della
novena del patrocinio del gran patriarca san Giuseppe, dopo la santa Comunione,
per mezzo della detta nube, dove ancora dimora il mio spirito, per mezzo di un
raggio divino, fu ad un tratto tutta illuminata la candida nube e sollevata al
cielo da benefico vento e da una aurea celestiale di paradiso. Venne sospinta e
portata fino al cielo empireo, dolcemente era questa nube da questo benefico
venticello innalzata, e da luce inaccessibile era invitata e necessitata a viepiù
inoltrarsi negli ampi spazi della divinità.
La nube intanto, così chiamata e necessitata, negli ampi spazi si ritrovò,
in quell’istante il mio spirito ebrio di santo amore, si ritrovò; che cosa
bella io vidi mai! Giammai veduta da me, non posso esprimere, non posso dire le
cose magnifiche che io vidi dell’infinita beltà di Dio non posso esprimere, non
posso dire non vidi mai cose così belle emai provai uguale dolcezza, che mi
stemperava il cuore di santo amore.
L’anima intanto unita a Dio lasciò il mio corpo del tutto privo di forza e
di calore, per la forte impressione della divina comunicazione, che credevo
proprio di morire.
L’amore di Dio io non potevo più contenere, la piena intanto dei santi affetti
non potevo più comportar. Mi chiama e richiama il diletto Signore, Risponde
l’anima: «Mio Dio, mio amore, confusa io sono dall’alta tua bontà». Il dolce
invito per umiltà volevo ricusare.
Ma torna a chiamarmi l’amante Signore, Oh Dio, non mi regge in petto il
cuore, di ricusar il suo invito: «Mio Dio, dimmi dove vuol che io venga? Ebria
d’amore, il tuo invito accetto di tutto cuore». Così mi rispose l’amante
Signore, senza parole, ma l’anima intende le sue espressioni, per intelligenza
e per amore. Così mi chiamò: «Amata colomba, gradita mia sposa, Vieni al mio
talamo. Entra e riposa nel casto mio cuore».
Oh dolce speme, oh dolce unione, oh santi affetti ditelo voi che io non
reggo a tanto amore! Oh unione perfetta di due cuori insieme, in quel momento
in un solo cuore il santo amore li trasformò.
Io non sapevo più se ero in me stessa, restai sopraffatta dallo stupore lo
non sapevo più se il cielo, o la terra, fosse oramai la mia abitazione, Sentivo
solo trasportato il mio cuore da puro e santo amore, che per ventiquattro ore,
non fui più capace della naturale sensazione, benché facessi tutto il possibile
per occultare quanto era passato nel mio spirito. Sono passati più di tre
giorni ora che scrivo, e ancora nei propri sensi non posso del tutto rinvenire,
ma un dolce sonno mi occupa il cuore.
L’amore, l’amore mi fa dormir ma l’anima intanto non dorme, sta desta, e
tutta unita al suo Signor. Altro non cerca, altro non brama che di stare unita
alla sua volontà, nauseando ogni desiderio ed ogni pensiero di questo mondo
mortale. Lo sguardo in Dio fisso ritiene per esser pronta ad ogni suo cenno di
puntualmente sempre obbedir.
Passati già sono non solo i tre giorni, ma altri sei giorni e ancora nei
sensi non posso del tutto ritornar, un dolce sonno mi tiene occupata, una pace
interna che mi rapisce 1’anima e il cuore. L’amore, l’amore mi fa languire, io
più non reggo, mi par di morire, mio Dio, aiutami il tuo santo amore a
sostenerlo non reggo a tanto amore mio Dio. Io chi sono? Una vilissima creatura
tanto amata da te, oh qual confusione è questa per me! Io mi inabisso davanti
la divina tua maestà, solo il tuo onore e la tua gloria mi protesto di solo
amar.
Nella santa Comunione si aumentava ogni giorno più questo riposo, godendo
un bene molto copioso, tutto amoroso, ma senza vedere, senza sapere, solo
sentendo la voce del mio Signore che intimamente mi parlava così, con queste ed
altre simili espressioni, che io non so
rintracciare: «L’amata sen dorme, deh non la svegliate e non la turbate, quel
sonno di amor, giace, e riposa in pace di amore L’amante suo cuore unito con
me».
A queste espressioni si umiliava e annientava il mio cuore ebrio d’amore,
proseguiva a dormire. Questo riposo, questo raccoglimento così intimo, durò nel
mio spirito quindici giorni, cioè dal dì 19 aprile fino al giorno 5 maggio
1822. Il giorno 6 detto, tornai nella naturale sensazione, e mi destai da questo
dolce e fruttuoso riposo.
Dal dì 6 maggio fino all’l di giugno 1822 il mio spirito sostenne molte
tribolazioni e angustie di spirito, desolazioni, smarrimenti afflittivissimi,
aridità, desolazione in maniera che non sapeva fare orazione, sicché passai il
mese di maggio in un vero purgatorio, mentre le mie orazioni e operazioni altro
non erano che distrazioni e pensieri che mi affligevano il cuore.
|