6. Una stessa cosa con Dio
Proseguo
il racconto.Dopo che Dio,
per pura sua bontà, mi aveva così adornata, si degnò compiacersi dell’anima
mia, nella sua compiacenza chiamò l’anima a sé e le donò un’agilità prodigiosa
che mi rese in quell’istante capace di sollevarmi fino al cielo. Lo spirito
penetrava con tanta sottigliezza, e agilità che liberamente andava al suo Dio,
che fortemente la chiamava,e intimamente la toccava,con la divina sua grazia,
così la sollevava e la rapiva e l’invitava alle sue divine nozze. Cosa mai dirò
di questo sublime favore?
Non ho al certo termini di poterlo spiegare, per essere io ignorantissima,
non ho maniera di poterlo manifestare. Con molta maggior forza tirava e
sollevava Dio l’anima mia, di quello che un gran masso di calamita tiri ed
unisca a sé un leggero ferro, ma l’anima mia unita al suo Dio perdeva affatto
la sua proprietà, e per mezzo di trasformazione diveniva una stessa cosa con il
suo Dio.
Dopo aver goduto di questo bene sommo, inarrabile ed incomprensibile, che
non si può a qualunque bene paragonare, l’anima mia si ritrovò tutta raggiante
di luce, e in luogo di trovarsi gli anzidetti ornamenti, si trovò che Dio
l’aveva rivestita di un abito molto più bello, e gli aveva donati altri tre
misteriosi segnali.
Questi erano uno scettro, che mi trovai nella sinistra mano, di una
bellezza incomprensibile, nella destra mano mi trovai un bastone di comando,
che io non so descrivere né paragonarlo, per essere cosa misteriosa e divina,
una risplendente corona che cingeva la mia fronte; mi spiego: questi adomamenti
non li vedevo nel mio corpo; ma bensì ne vedevo adorna l’anima mia, che in
sembianza di leggiadra giovinetta la vedevo.
Nel vedere l’anima mia così bella e così adorna, piena di stupore mi
rivolsi al mio Dio e con profonda umiltà così gli dissi: «Mio amorosissimo Dio,
questi adornamenti non convengono ad una peccatrice che sono io. Io sono piena
di rossore e di confusione, al riflesso dell’enorme mia ingratitudine ed
iniquità; punitemi piuttosto, Dio mio, in luogo di favorirmi con tante grazie,
perché queste vostre grazie, altamente mi confondono. Che voi Dio mio non lo
vedete? Che voi non lo sapete che io altro non faccio che abusare delle vostre
grazie, altro non faccio che oscurare la vostra gloria con tanta mia
ingratitudine»? A questa verace riflessione, detti in un dirottissimo pianto,
sprofondandomi nel proprio mio nulla. Ma l’infinita bontà di Dio, non volle
vedermi così afflitta e addolorata in una giornata così solenne, che si era
degnato di favorirmi con grazia così grande e particolare, prese dunque a
consolarmi con dolci parole, e mi fece intendere quanto grande sia l’amore che
porta all’anima mia, e che l’amor suo oltrepassa la mia viltà e miseria e mi
rende degna dei suoi divini favori, mi spiego, ancora, quali fossero quei tre
doni che aveva fatti all’anima mia, cioè lo scettro, il bastone, la corona.
Questa spiegazione la passo sotto silenzio, perché mi pare sarà molto più
conveniente di farla vostra paternità reverendissima, per così risparmiarmi la
canfusione di manifestare i tratti amorosi di un Dio amante di me, povera e
miserabile sua creatura, che con tutta ingenuità mi confesso per la più vile
creatura che abbia la terra essendo io peggiore assai di tutti i demoni
dell’infermo per i miei gravissimi trascorsi, come sono ben noti a vostra
paternità reverendissima
La prego dunque di non obbligarmi di fare di questi misteriosi segnali la
descrizione, e questo lo domando per carità, perché troppo confondono e
umiliano il povero mio spirito.
Questa comunicazione mi tenne assorto lo spirito per molti giorni, e il mio
corpo restò tanto estenuato nelle forze che, appena potevo reggermi in piedi,
mancandomi perfino la voce, e poca o niente cognizione avevo delle cose
sensibili, e di tratto in tratto ero alienata dai sensi. In questa situazione
stetti per lo spazio di dieci giorni, che mi ridussi pallida e smorta che
pareva avessi sofferto una grave malattia.
Tanto era dolcemente chiamato il mio spirito da Dio, che il mio corpo
pareva incadaverito per i continui languori d’amore che mi camunicava lo
Spirito divino.
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