In questa situazione si trattenne il mio
spirito 11 giorni, vale a dire dal giorno 13 fino al dì 24 giugno 1822, festa
del grande precursore santo Giovanni Battista, mio grande protettore ed
avvocato.
Nella santa Comunione si concentrò tutto ad un tratto il mio spirito, in
questo tempo mi parve trovarmi in una vasta e deliziosa campagna, dove vedevo
San Giovanni Battista che mi invitava a salire un alto monte e mi diceva che
non mi fossi fermata a godere dell’amenità di quella fiorita campagna, ma che
mi fossi campiaciuta di salire l’alpestro monte, che lui mi avrebbe in questo
cammino scortata e guidata dalle parole del Santo, l’anima mia lasciò l’amena
pianura e obbediente intraprese a salire l’altissimo monte alpestro, andando
appresso al Santo che si era fatto mio condottiero, in questo arduo cammino.
Non lasciava il Santo in questo faticoso cammino di dare all’anima santi
insegnamenti riguardanti le celesti dottrine facendomi conoscere le vane
apparenze dei beni transitori di questo basso mondo, e mi faceva comprendere il
pregio grande dei beni eterni.
Alle sue parole si infiammava il mio cuore di carità verso Dio, in guisa
tale, che mi mancano i termini di poter spiegare i mirabili effetti che provavo
in me di grazia sì grande; umili grazie rendevo al Santo per avermi istruita ed
insieme riempita di carità. I suoi santi insegnamenti io non so ridire, mentre
per via d’intelligenza, io comprendevo il suo misterioso parlare, mi fece
conoscere quanto ancora mi devo umiliare per avere ricevuti da Dio tanti
favori.
Quando fui alla sommità del monte, mi fece vedere quanto l’anima mia per
virtù di Dio, si trova distante dalla massa del mondo e quanto si trova vicina
a Dio. «Mira», mi disse il Santo, «deh, mira quanto è grande l’infinita bontà
di Dio verso di te. Vedi quanto lungi sei da quel vile e basso mondo che
contiene tanti viventi, che altro non cercano che le cose vilissime della terra,
Dio fu prodigo verso di te. Approfittati della sua particolare grazia,
corrispondi fedele all’infinito suo amore, non vedi a quale alto grado ti
sublimò?».
Alle sue parole l’anima mia profondamente si umiliò, e restò come estatica
fuori di se stessa. Vedendo il mondo che io abito, tanto lontano da me, lo
vedevo migliaia di miglia lontano e come sotto i miei piedi, mentre il monte
dove io mi trovavo era altissimo, quasi vicino al cielo. Terminato il santo
colloquio, mi additò una celletta che era sopra quel monte, dico celletta
perché mi manca il termine proprio, e non saprei a qual cosa paragonarla per
essere cosa misteriosa e divina. Questo era un luogo di sicurezza per l’anima,
dove i nemici, né le proprie passioni mi potevano molestare, questa era tutta
di pietra lavorata in maniera che si rendeva impenetrabile. Vi era una piccola
porticella, il Santo prima di farmi entrare in essa, mi fece vedere molti
angeli che al di fuori la custodivano, poi mi fece entrare nella suddetta e di
propria mano chiuse a chiave la porta, facendomi così intendere che non è in
mia libertà il sortire da essa.
Nell’entrare in quella beata solitudine intesi ricrearmi lo spirito da
dolcezza, e da soavità celestiale e divina, che mi fece ardere ad un tratto il
cuore di puro e santo amore. La celletta per essere al di sopra tutta aperta e
senza tetto, l’anima mia godeva i benefici influssi del cielo, mi spiego:
godeva in qualche maniera la vicinanza di Dio e dei beni celestiali, i quali
beni tenevano assorto il mio spirito, in guisa che, per lo spazio di tre giorni
non fui capace di cosa alcuna sensibile, mi regolavo per mezzo della medesima
grazia di Dio di operare per abito senza la riflessione sensibile, sebbene in
questi casi me la passo chiusa nel mio oratorio privato, sortendo da esso, per
la pura necessità, servendomi del mezzo
termine di sentirmi incomodata.
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