Il dì 28 giugno 1822, vigilia dei gloriosi
apostoli santi Pietro e Paolo, terzo giorno della suddetta mia afflizione, mi
portai a fare la santa Comunione in San Carlo alle Quattro Fontane, dove vidi,
dopo essermi comunicata, una lapide nuova, poco distante da dove mi ero posta
in ginocchio, senza mia volontà, gli occhi in quella lapide mi si fermavano,
più volevo ritirarli, viepiù la vista sulla lapide si fermava, fui dunque
obbligata a leggere contro la mia volontà, e leggo: qui riposano le ceneri di
Carolina Alvarez. Pensai che questa fosse una donna anziana, di vecchia età,
che avesse in vita frequentato la suddetta chiesa, e per sua devozione lì
stessa sepolta; formato questo pensiero, così sento dirmi con voce mesta e
dolente: «Non sono vecchia come tu credi; ma sappi che sono di giovanile età,
sovvengati chi io sono pure in vita mi conoscesti! leggi con attenzione che mi
rammenterai». Torno a leggere con riflessione la lapide e ben conobbi esser
questa la figlia del celebre scultore Alvarez che cinque anni or sono abitava
incontro alla mia casa e per conseguenza questa figliola la conoscevo, sapevo
ancora che era passata all’altra vita l’anno 1821, nella sua giovanile età di
anni 16 o 17. Supponendo che già stesse in paradiso, così io le dissi: «Anima
benedetta, che già sei in cielo, prega per me, misera peccatrice». Così mi
rispose la suddetta: «Sappi che ancora sono dalla giustizia di Dio ritenuta in
purgatorio, da te aspetto il suffragio e la liberazione da questo orrido
carcere! La tua preghiera molto mi può giovare, impégnati per me presso
l’altissimo Dio, perché io possa andarlo presto a godere per tutta
l’interminabile eternità, se mi ottieni questa grazia io ti prometto di ottener
grazia da Dio per Anna, tua figlia».
A queste parole intesi tutto commuovermi lo spirito, e piangendo così le
risposi: «E che cosa posso farti io, anima benedetta, che sono tanto miserabile
e peccatrice, che devo confessare, a mia confusione, che sono la creatura più
vile della terra?». Proseguendo a piangere, non sapevo cosa dovevo fare per
liberare questa anima, trovandomi tanto sprofondata nel mio proprio nulla;
pensai di parlare, quella mattina medesima, al mio padre spirituale, sicché lo
feci chiamare e tornai per la seconda volta in confessionario, e gli raccontai
quanto mi era accaduto.
Il lodato padre, vedendomi piangere, e sentendo da me che non sapevo come
fare per aiutare questa anima con voce grave così mi disse: «Fatevi coraggio
che se voi conoscete di essere una peccatrice, non vi dovete smarrire per
questo, avete i meriti di Gesù Cristo, in questi dovete avere tutta la fiducia.
Presentatevi all’eterno Padre, chiedetegli questa grazia in nome del suo
santissimo Figliolo, e per gli infiniti suoi meriti, e non abbiate paura che
non solo questa anima potete liberare dal purgatorio, ma anche mille, se vuole,
e andate che siete una sciocca. Io» mi disse, «vi comando che preghiate per
questa anima che domani voglio che se ne vada in paradiso. Veramente siete una
sciocca che non vi sapete approfittare della grazia che vi fa il Signore,
ricordatevi che più volte si è degnato di consegnarvi le chiavi del purgatorio,
dite dunque a Gesù Cristo che ve le ridia per scarcerare questa anima, ditegli
che questo è il comando del vostro confessore, ditegli che, se gli piace vi
faccia fare questa obbedienza, chiedetelo a Dio per la sua infinita carità,
vedrete che non vi negherà la grazia».
Alle parole del mio padre ad altro non pensai che di puntualmente
obbedirlo, col fare quanto mi aveva comandato. In quel giorno mi diedi tutto il
carico di suffragare questa anima, visitando la Via Crucis ed altre preghiere e
mortificazioni; pregai ancora il principe degli apostoli per essere la sua
vigilia. La mattina, festa del suddetto principe san Pietro, nella santa
Comunione, la quale feci in suffragio della detta anima, si concentrò il mio
spirito tutto in Dio, in questo tempo così mi intesi parlare dalla suddetta, ma
senza vederla: «Ti rendo infinite grazie tra poco me ne vado al paradiso, sarò
sempre memore della tua carità, torno a prometterti di ottenere da Dio grazia
per Anna, tua figlia, non dimenticherò i miei genitori, ai quali spero ottenere
la misericordia. Pregherò ancora per il tuo padre spirituale, al quale devo la
sollecita mia liberazione dal Purgatorio, per il comando che ti ha imposto».
Circa un’ora e mezza dopo viepiù si concentrò il mio spirito, e mi parve
trovarmi in quell’anzidetta celletta, collocata sopra quell’altissimo monte,
come già dissi. Da questa altura vidi la bella anima di Carolina Alvarez che se
ne volava al cielo in mezzo ad un bello splendore di chiarissima luce; ma
quello che osservai con mio stupore fu di vedere che portava un bello scapolare
trinitario, tutto risplendente, con la croce rossa e turchina, lunga e larga
quanto era lo scapolare. Domandai come le convenisse quel nobile segnale, mi fu
risposto per essersi Dio degnato di annoverare questa anima sotto il glorioso stendardo
dell’ordine Trinitario per avere il di lei padre consegnato il suo cadavere ai
Padri Trinitari con molto affetto di devozione e per altri motivi che per
prudenza si tacciono. Fu il mio spirito invitato a ringraziare la Santissima
Trinità, per avergli compartito questo favore; finalmente si sollevò al cielo
quella benedetta anima così risplendente di gloria, così ne perdetti la vista,
restando nel mio cuore un giubilo di Paradiso, che mi durò un’intera giornata.
Questa vista sollevò il mio spirito a contemplare l’infinita bontà di Dio e le
sue infinite perfezioni, l’infinito suo amore verso di noi, poveri figli di
Adamo. Si internò tanto il mio spirito in questi sentimenti, che per tre giorni
continui mi tennero fuori dai propri sensi, perché ogni giorno più si
accresceva in me la cognizione delle perfezioni di Dio, che l’anima fu tanto
penetrata dal santo amore di Dio, che credevo di perdere la vita.
Dio mi dava tanta attività e forza d’amore, che per mezzo della sua divina
grazia tanto l’anima si inoltrò, che arrivò a lottare con il santo amore di
Dio.
Oh, chi sapesse spiegare questo fatto, potrebbe arrivare in qualche maniera
a manifestare quanto mai sia grande l’amore che Dio porta a noi miseri mortali!
Ma io sono molto ignorante, e per conseguenza insufficiente affatto di poterlo
spiegare, perché mi mancano i giusti termini di poterlo manifestare, ma la
povera anima mia ne prova in sé i buoni effetti, di queste divine, scienze che
le vengono dettate dalla divina sapienza, per le quali viene l’anima a fare
certe operazioni soprannaturali e quasi divine, per la partecipazione che Dio
fa di sé all’anima. Queste operazioni sono per me del tutto nuove, per essere
digiuna affatto di queste celesti dottrine.
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