Questo divino favore mi tenne assorta per
tre giorni, vale a dire dal giorno 30 giugno fino al 3 luglio 1822, volevo
occultare i buoni effetti che cagionò nell’anima mia questo favore, lasciando
di copiare dal giornale quanto sarò per dire, che a bella posta avevo
tralasciato di trascrivere, ma per comando espresso del mio padre spirituale,
torno a riprendere il filo del mio racconto e lo termino per obbedire.
Sopraffatta l’anima dallo Spirito del Signore, si lascia guidare dove esso
vuole, abbandonandosi tutta al suo divino beneplacito, sicché lo Spirito del
Signore la conduce, la guida, l’innalza, la fa penetrare, l’ammaestra, la fa
amare, la fa umiliare, la fa inabissare nel proprio suo nulla; così in queste
occasioni l’anima mia viene ammaestrata e penetrata dal santo amore, ma in
questa divina scuola, prima si pratica il bene, e poi se ne ha la cognizione,
in maniera che prima ne godo i buoni effetti e poi ne ho la cognizione.
Queste illustrazioni seguono in me, senza prevenzione, senza meditazione,
in guisa tale che io non so mai né come principiano né come finiscono, né come
questi favori vadano a terminare; non sono che spettatrice di quanto va seguendo
nel mio spirito, godendone i mirabili effetti, in anticipazione della
cognizione.
Questi distinti favori sono, in vero, molto disdicevoli in me, che sono
piena di miserie e peccati, e non possiedo l’ombra della virtù, io veramente ne
resto stupefatta e piena di rossore, nel vedere Dio che tanto mi favorisce, e
mi ama, io non so a che attribuirlo, stolta che sono, vado dicendo fra me
stessa: questi sono i frutti del merito infinito di Gesù Cristo. Ah Gesù mio,
riprendo vigore, e mi rallegro in voi, mio sommo bene, ma torno a guardare me
stessa, e mi confondo. Vorrei corrispondere a tanto amore, ma confesso che non
lo so fare, questa mia cattiva corrispondenza è il mio continuo martirio, ah
Gesù mio nascondetemi nella piaga amorosa del vostro santissimo costato.
Con queste ed altre espressioni l’anima mia si riposava dolcemente in Dio,
affidata nei suoi meriti, godevo una pace di paradiso. Terminati i suddetti tre
giorni, improvvisamente si cambiò la luce in tenebre, e il povero mio spirito
se ne restò pacificamente in mezzo a tanta oscurità, in quelle dense tenebre,
volevo sollevare il mio cuore a Dio, e non potevo, perché mi mancava
l’intelligenza e la cognizione; cercavo il mio Dio e non lo trovavo, qual pena
sia mai questa di passare dalla luce chiarissima alle più folte tenebre, non è
in vero possibile il poterlo manifestare, mentre l’anima teme, in questo stato,
di offendere il suo Dio.
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