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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

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  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 66 – PADRE AMANTE E DIO DI MAESTÀ INFINITA
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66 – PADRE AMANTE E DIO DI MAESTÀ INFINITA

 

In questa afflittiva situazione si trattenne il mio spirito per lo spazio di otto giorni, vale a dire dal 4 fino all’11 del detto mese di luglio 1822. La mattina del 13 nella santa Comunione, per mezzo di un raggio di luce, Dio per sua bontà si fece ritrovare dalla povera anima mia, e come potrò io spiegare i santi affetti dell’anima verso il suo Dio? Questa si trattenne qualche tempo con il suo Dio, quale affettuosa fanciulla, che ritrova il caro padre suo, a braccia aperte gli andò incontro, e con molte lacrime di tenerezza e di amore si prostrò genuflessa ai suoi piedi santissimi, ringraziandolo che si era fatto ritrovare, lo adorai quale Dio di maestà, lo venerai qual padre amante, con lui sfogai gli amorosi affetti del mio cuore, mi trattenevo con lui qual tenera figlia che si compiace nel caro padre suo, e il mio Dio con me si tratteneva con tanto trasporto d’amore, che io non lo posso spiegare; passò dunque l’anima mia in santi colloqui con il caro padre suo, questo si faceva con una purità e semplicità di spirito, che io non lo saprei spiegare.

Passai poi tutta la giornata in santo raccoglimento, la sera prima di andare a riposare mi trattenevo nel mio oratorio, in orazioni, secondo il mio solito, intesi ad un tratto intimamente chiamarmi dal mio Dio, in un modo molto particolare, che io non so spiegare, va l’anima rapidamente a questo tocco interno di Dio, che la obbligò, che la necessitò ad andare dove lui la chiamava; restò intanto il mio spirito estatico, e non sapeva il perché, solo sapeva di stare con il suo Dio.

Molto volentieri sarei restata in orazione tutta la notte, ma non avendo il permesso dal mio padre spirituale non volli arbitrarmi di restare tutta la notte, come ancora per avere le forze molto deboli. Dopo essermi un poco trattenuta, andai a riposare, senza però perdere la divina impressione, io non so dire se il mio riposo naturale, sonno potesse chiamarsi, mentre riposava il corpo, ma stava desto il mio cuore e nell’intimo dell’anima godevo un bene molto particolare.

La mattina mi destai, e non sapevo se in questo mondo ancora mi trovavo, tanto era grande il raccoglimento interno e la pace del cuore, che ancora conservavo. L’amore non mi faceva capire dove mi trovavo, se dentro o fuori dal corpo fosse ancora il mio spirito, procuravo di scuotermi e di destarmi, per quanto potevo, ma il mio spirito era tutto occupato nel rendere umili grazie al suo Dio; ma io non sapevo il perché.

In questo tempo intesi una melodia di armoniche voci, che più che mai sopivano il mio cuore, così sentivo cantare da voci dolci e amabili, ma io il giusto senso non sapevo interpretare.

Ecco le loro parole: Os iusti meditabitur sapientiam et lingua eius loquetur iudicium, lex Dei eius in corde ipsius: et non supplantabuntur gressus eius.

Da questi armonici canti mi avvidi di avere, in quella santa notte, ricevuto grazie da Dio, io sapevo di avere goduto un grande bene nell’anima, ma non sapevo qual fosse la grazia che mi aveva compartita il mio Dio.

 




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