Un fatto riporto, per obbedire al mio padre
spirituale, che me ne ha fatto un assoluto comando. il racconto lo faccio per extensum, per essere questa
l’obbedienza che mi ha imposto.
Il lodato mio padre in Gesù Cristo, nel mese di maggio del 1822 ricevette una
lettera dalla Spagna, dove veniva informato da un amico che il suo fratello
certosino si trovava malato di un’infermità di petto e che erano quattro mesi
che guardava il letto, e per l’estrema debolezza non aveva potuto scrivere di
proprio pugno, che il suddetto si era dato ad una profonda malinconia, non
permettendogli le indebolite sue forze né di leggere, né di scrivere, né di
recitare il divino ufficio, e che si trovava in una grande desolazione di
spirito, temendo della sua eterna salute.
Il mio padre spirituale mi fece sentire la lettera, che gli aveva scritto
l’amico del suo fratello certosino, mi disse di raccomandarlo al Signore, che
se era in piacere della volontà di Dio l’avesse fatto guarire.
Il suddetto mio padre volle celebrare la santa Messa nel mio oratorio
privato, per il suo fratello infermo, io unii al suo santo sacrificio la povera
mia Comunione, il Signore, per sua bontà, mi fece intendere che il suddetto
infermo sarebbe morto.Nel partire dalla mia casa, il mio padre spirituale tornò
a dirmi che avessi pregato per il suo fratello, io gli risposi che non facesse
speranza sopra la vita del suo fratello, perché il Signore mi pare se lo voglia
portare in paradiso.
La notte del 28 maggio, vale a dire 25 giorni prima della morte del
suddetto infermo, ecco cosa seguì nel mio spirito: stavo orando nel mio
oratorio, poco dopo la mezzanotte, il mio spirito era tutto raccolto in Dio,
godendo nell’intimo dell’anima un riposo, una quiete, una pace propria di
paradiso, tutto ad un tratto mi parve di vedere da lungi il suddetto infermo,
in una situazione molto afflittiva e dolente. Mosso il mio spirito dalla
compassione, mi rivolgo al mio Dio, e con umile sentimento di carità lo prego
di mandarmi a consolare, a confortare l’infermo.
Questa preghiera la feci con tanto fervore e fiducia, che il Signore, per
sua bontà, mi accordò la grazia: «Va’», mi disse il mio Dio, «va’ qual
mesaggera di pace. A mio nome di’ al mio servo che presto sarà con me in
paradiso, per segno di questa verità io gli donerò pace, tranquillità e unione
perfetta al mio divino volere, e una certa speranza di godermi per tutta
l’interminabile eternità».
Ricevuta l’ambasciata, in senso molto migliore di quello che io ho saputo
scrivere, attesa la mia grande ignoranza, ad un tratto mi parve di trovarmi
nella camera dell’infermo, si avvicinò il mio spirito al suo piccolo letto e
fece l’ambasciata, per la quale lo spirito dell’infermo esultò in Dio, e pieno
di gaudio celeste fece i suoi cordiali ringraziamenti all’Altissimo; quanto
grandi fossero i suoi ringraziamenti verso il suo Dio, per avergli compartita
la suddetta grazia, non mi è possibile poterlo ridire.
Con il mio spirito si mostrò molto grato, per avergli portato questa
consolante nuova, mi promise di raccomandarmi alla Santissima Trinità.
Ritornata in me stessa, mi trovai tutta aspersa di lacrime, per la
tenerezza di questo fatto, proseguii a lodare, benedire e ringraziare il
Signore di tutto l’accaduto. La mattina seguente, riflettendo a quanto era
seguito nel mio spirito la notte, disprezzai questo fatto, e non ebbi coraggio
di manifestarlo al mio padre spirituale, prendendo questa cosa per una alterazione
della mia fantasia; come ancora tacqui il suddetto fatto, per non affliggere il
mio padre per la vicina morte del suo santo fratello.
Dissi fra me stessa: «con la lettera che riceverà, lo saprà». E difatti il
mio padre mi scrisse un biglietto, dove mi diceva che aveva ricevuto la lettera
che il suo fratello il 12 di giugno 1822 era passato all’eternità. La lettera
lo notiziava che quindici giorni prima della sua morte aveva acquistato una
pace, una tranquillità imperturbabile, ed erano terminate tutte le sue
desolazioni ed afflizioni, rendendo il suo spirito a Dio nella pace del
Signore, aveva fatto una morte da santo.
Il mio padre spirituale, ricevuta la lettera della morte del suo fratello,
all’Ave Maria, mi scrisse un
biglietto secco secco, senza accennarmi, né punto né poco, la santa morte che
aveva fatto il suo fratello, mi scrisse solo tre righe che tali e quali qui
trascrivo:
Il mio fratello certosino il 12 morì, se si trova in purgatorio e non sorte
domani alla mia messa, sarete
grandemente castigata. Dio vi benedica!
Proseguo il racconto. Letto il biglietto, subito mi ritirai
nel mio oratorio, chiedendo lume al Signore, acciò mi avesse fatto conoscere lo
stato di questo defunto. Il Signore, per sua bontà, mi fece intendere essere di
già gloriosa la sua anima in cielo.
Fu tanto forte questo sentimento, che non potei per questa anima santa fare
in quella notte il minimo suffragio, nonostante il mio spirito non restava
appagato di questa sola notizia, tornai a pregare il Signore e così gli dissi:
«Mio Dio, a me non basta questa sola notizia, per assicurarmi della verità».
Così intesi intimamente rispondermi: «Domani mattina, alla Messa del tuo
padre spirituale, ne avrai tutta la sicurezza».
Mi porto dunque la mattina in chiesa, ad ascoltare la santa Messa del
suddetto mio padre. Il Signore, per sua bontà, mi diede a vedere la gloria grande
che godeva l’anima di questo suo servo, ma perché il grande splendore della sua
gloria il mio spirito non poteva contenere, mi diede il mio Dio a vedere il
solo albore del suo splendore.
Questo bastò per farmi provare una consolazione di spirito tanto grande,
che non ho termini di poterlo esprimere: il suo splendore era assai più bello
di quello che sia bello il sole nello spuntar nel bel mattino, assai più, e
senza paragone più bello.
Oh come tutta si ricreò la povera anima mia per mezzo di questo bello
splendore, la mia mente fu sollevata da celesti pensieri, la dolcezza e la
soavità inondava il mio cuore e mi faceva lodare e benedire il mio Dio,
ammirando l’infinita sua bontà.
Questo bene fu durevole in me per vari giorni, mentre quando mi ponevo in
orazione, ricordevole dell’accaduto fatto, tornavo a godere un bene nell’anima
molto grande, che mi univa al mio Dio.
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