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Beata Elisabetta Canori Mora Diario IntraText CT - Lettura del testo |
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4. La contemplazione della passione e morte di Gesù
Nel mese di settembre 1822, come già dissi nei precedenti fogli, il mio spirito fu chiamato da Dio a meditare, a contemplare la passione e morte di Gesù Cristo. Molto si internò l’anima in questi dolorosi misteri, che più volte credetti di morire, mentre Dio, per sua infinita bontà, mi partecipava in parte le pene sofferte nella sua santissima umanità, come sarebbe l’angustia, l’affanno, la tristezza che provò il suo spirito santissimo nell’orto del Getsemani; il mio spirito nel compassionare le sue pene, per via di compassione ed intima unione, era chiamato da Dio a partecipare, a patire simili ambasce, simili pene, unite a certe cognizioni intellettuali e divine, che la povera anima mia era sollevata sopra se stessa e veniva inebriata di puro e santo amore. Quanto fosse fruttuosa all’anima mia questa orazione, io non ho termini di poterlo spiegare, ma tanto era buona questa orazione per la salute dell’anima, tanto era pregiudizievole per la salute del corpo, mentre per gli interni ed esterni patimenti il mio corpo s’indebolì tanto nelle forze, che sono ridotta un cadavere in piedi, la continua occupazione che il mio spirito ha con il suo Dio mi fa odiare me stessa e la società, mentre l’occupazione interna mi impossibilita ogni sorta di conversazione e trattenimento sociale, benché lecito ed onesto; ma siccome io non mi ritrovo in un deserto e sono necessitata di conversare con il mio prossimo, questa per me è una grandissima pena, fuggo più che posso la compagnia altrui, altro non amo che la solitudine, per conversare con il mio Dio. La solitudine la chiamo «il mio paradiso in terra»; il mio spirito, quando si trova in compagnia, sta sempre in stato di violenza, a tal segno che ne soffre anche il corpo, che si leva tutto in un gelido sudore per la pena che patisce. Il povero mio spirito non trova più alcuna soddisfazione terrena, solo trattare con il suo Dio gli piace, e in Dio e con Dio resta pienamente contento e soddisfatto. Questo non deve recare meraviglia, mentre noi vediamo tutto giorno che gli amanti del secolo vanno perduti dietro ai loro amori e, se sono colpiti dal genio e dalla passione, si fanno servi, schiavi dell’oggetto che amano, dimenticando la loro stima, la loro reputazione, le ricchezze, gli onori, la roba, non trovando più in tutto questo la loro soddisfazione, altra consolazione non trovano che di stare con l’oggetto che amano, e se tanto può l’affetto terreno, qual meraviglia recherà a chi legge che la povera anima mia, colpita dal santo amore, sia perduta amante di un Dio che la creò? e con lo sborso del suo preziosissimo sangue la riscattò? Ah, sì, tutto poco sarà. Benché potessi per amore del mio Dio milioni di volte sacrificare me stessa con i più acerbi tormenti, questo sarebbe onore per me e non corrispondenza, mentre conosco che, per quanto mai io potessi fare e patire, non potrò giammai corrispondere ai tanti benefici e all’infinito amore che porta Dio, per sua bontà, alla povera anima mia peccatrice. Tutto questo che ho detto e sono per dire, valga solo per glorificare il mio amorosissimo Dio, e per sempre più confondere l’anima mia nel profondo della santa umiltà e nel basso concetto di me stessa; conoscendomi, per mezzo della grazia di Dio, di essere la creatura più vile, più peccatrice che abita la terra: questa verità è per me tanto certa e sicura, che la confesso con tutta l’ingenuità del mio cuore, avanti a Dio e agli angeli ed i santi del paradiso, avanti a tutti gli uomini che abitano la terra, che io sono la creatura più vile, più miserabile che abita la terra. Di questa chiara cognizione che mi dona Dio, per sua bontà, io lo ringrazio continuamente e lo prego incessantemente di levarmi prima la vita, se mai per mia grande disgrazia avesse a mancarmi questa chiara cognizione, questo umile sentimento che lo tengo tanto caro quanto tengo cara l’anima mia.
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