All’11 di novembre 1822 terminò la nostra
villeggiatura, tornai in Roma con le mie due figlie, essendoci trattenute in
Marino 45 giorni.
Dall’11 novembre fino al 7 dicembre 1822, il mio spirito in questo tempo
sperimentò i buoni effetti di questi distinti favori, in questi giorni Dio si
degnò farmi godere nell’intimo dell’anima un riposo, una quiete, uno
straordinario raccoglimento, unito ad una presenza di Dio tanto amabile e cara
che non ho termini di poterlo spiegare. Questa presenza di Dio cagionava
nell’anima mia una profonda umiltà, un annientamento di me stessa, un
bassissimo concetto di tutta me; questa umile cognizione mi faceva trattenere
alla presenza di Dio, con santo amore e santo timore. Così passai i detti
giorni.
Il dì 8 dicembre 1822, festa dell’Immacolata Concezione di Maria
Santissima, mi accostai alla santa Comunione con molto raccoglimento di
spirito, ma non fu di più. Passate circa tre ore dopo la santa comunione, tutto
ad un tratto Dio si degnò sollevare il mio spirito ad una elevata
contemplazione (io non so se questo favore possa chiamarsi contemplazione).
Mi dava dunque il mio Dio a vedere il suo divino splendore, per cui veniva illustrata
la mia mente, e il mio intelletto restava tutto occupato in Dio, la mia volontà
era tutta unita e medesimata in Dio. Nel trovarmi immersa in questo grande
bene, domandai dove si trovasse il mio spirito, che tanto bene godeva, Dio per
sua infinita bontà si degnò mostrarmi la situazione del mio spirito, e con
parole me lo fece intendere: «Mira»,
mi disse, «o figlia mia dilettissima,
l’amore mio verso di te fin dove giunse! Ti ha separato affatto dalla massa
degli uomini, ti ha sollevato sopra questo monte, dove ora si trova l’anima
tua, per solo conversare con me!». Altro
punto ammirativo.
Tornò con trasporto d’amore a ripetere: «Mira,
deh mira, o mia figlia carissima, quanto lontano si trova dal mondo sensibile
l’anima tua».
Ed infatti io vedevo il mio spirito in un altissimo monte, molto lontano
dal mondo, anzi separato affatto, ma in grande lontananza vedevo il misero
mondo con i suoi seguaci immersi nelle crapule e nel libertinaggio,
segnatamente li vedevo camminare senza fede, senza religione, conculcando la
santa legge di Dio e i santi suoi comandamenti.
Questa cognizione riempiva il mio cuore di pena e di affanno, che mi
amareggiava quel bene che io godevo in me stessa, perché ero sollecitata
dall’amore del mio prossimo, sicché facevo per questi molte ferventi preghiere;
la vista di questi infelici affliggeva grandemente il mio cuore, che in mezzo a
tanto bene che godeva in me particolare si convertiva in una grave afflizione
di spirito, al giusto riflesso del disonore che questi miseri fanno
all’infinita bontà di Dio, e al danno che cagionano a loro stessi.
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