Vedendomi il mio Dio tutta anelante ed
ebbra del suo santo amore, in mezzo a quelle folte tenebre, altamente se ne
compiaceva, e si prendeva gioco di me.
In mezzo a quelle folte tenebre, dall’anima si faceva vedere con tanto
splendore e bellezza che l’anima ne restava rapita ed innamorata ad un segno,
che non poteva più contenere se stessa, sicché non camminava, ma volava per
approssimarsi all’amato suo Dio, che con tanta ansietà fino allora aveva
cercato con tanta fatica e stento. Ma che, quando credeva di raggiungerlo,
nuovamente si nascondeva, lasciando nell’anima maggior brama di possederlo. Si
accendeva viepiù in me la fiamma della divina carità, e questa faceva crudo
scempio di me, e l’anima mia, piena di fortezza e costanza, sempre più con
sommo ardore, in mezzo a quelle folte tenebre, cercava il mio Dio. Di qual
tempra sia questa sorta di patimenti non si può di certo spiegare. Senza la
grazia speciale di Dio non si resiste, perché è così crudo e sensibile il
patire, che può chiamarsi un forte martirio, che non si può spiegare. Mentre
Dio dona all’anima un desiderio veementissimo di congiungersi, di unirsi con
lui, di medesimarsi con lui, tanta è l’intelligenza ed il rapimento che le
comparte, che necessita l’anima di aspirare a questa perfetta unione; intanto
Dio, per compiacenza, suscita nell’anima un amore tanto grande che la strugge e
consuma per amore dell’amante e le rende altamente afflitto il cuore.
Ogni giorno si accrescevano a dismisura le pene, le angustie nel desolato
mio spirito. Compartendomi Dio per sua bontà tanto lume di propria cognizione,
che odiavo me stessa, e mi pareva di essere odiosa a Dio, ai santi, agli
angeli, agli uomini.
Oh Dio, qual pena è mai questa, che non si può spiegare, che portava
l’anima mia ad un doloroso conflitto; altro non facevo che pascermi di
amarissime lacrime e di affannosi sospiri, sopraffatta dalle pene e dal dolore,
che mi riduceva quasi ad agonizzare.
Una notte stando in queste orazioni così penose per accrescimento delle mie
pene, vidi il mio spirito sopra quel monte anzidetto, che camminava in mezzo a
quelle folte tenebre; un piccolo splendore lo scortava e gli additava il
cammino dell’erto monte, camminava con molta attenzione appresso al piccolo
splendore, per il timore di non perdersi in mezzo a quelle folte tenebre.
Il mio spirito lo vedevo per mezzo di quella piccola luce, ed era tutto
vestito di candide vesti, ma quello che mi recò gran pena fu di vederlo vestito
goffo e poco attillato, erano questi bei vestimenti tutti risplendenti.
Questa vista mi consolò, ma non restò pago il mio cuore, perché
l’importunità delle vesti mi parve che volesse significare la mia negligenza
nell’operare, sicché per questo molto mi afflissi, e piangendo dirottamente
chiedevo perdono al Signore e lo pregavo incessantemente di darmi la grazia di
corrispondere alle tante sue divine misericordie e a tanti suoi favori.
Non sto qui a dire le lunghe preghiere che facevo, le lacrime che versavo,
gli affannosi sospiri che il mio cuore inviava verso il suo Dio, mentre in
mezzo a quelle folte tenebre non distinguevo se Dio era con me, se io ero in
grazia sua; qual pena recasse questa dubbiezza al mio cuore, non posso al certo
esprimerlo. Sentivo intanto un amor grande verso Dio, ed una necessità di
amarlo.
Questa è un’amorosa prova che Dio fa all’anima, e l’anima mia molto bene lo
distingueva, e viepiù si accendeva di santo amore, il quale faceva crudo
scempio di me, e così martirizzava l’anima e il corpo. Questo doloroso
conflitto durò 33 giorni: dal 31 dicembre 1822 fino al dì 3 febbraio 1823.
Sicché il mese di gennaio lo passai in queste gravissime afflizioni.
Tralascio il dire come Dio, per sua infinita bontà, mi sollevò da queste
gravi angustie, riservandomi a darne riscontro in altro cartolaro. Intanto
prego vostra paternità reverendissima di esaminare questo, che umilio e
soggetto al savio suo parere e consiglio, per quiete della povera anima mia, la
quale sempre dubita di essere ingannata dal demonio: protestandomi avanti al
mio Dio, di aver scritto questi fogli a sua maggior gloria, e per obbedire
vostra paternità, che me l’ha comandato.
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