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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 69 – HO PERDUTO IL MIO DIO!
      • 2. Il mio Dio si prende gioco di me
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2. Il mio Dio si prende gioco di me

 

Vedendomi il mio Dio tutta anelante ed ebbra del suo santo amore, in mezzo a quelle folte tenebre, altamente se ne compiaceva, e si prendeva gioco di me.

In mezzo a quelle folte tenebre, dall’anima si faceva vedere con tanto splendore e bellezza che l’anima ne restava rapita ed innamorata ad un segno, che non poteva più contenere se stessa, sicché non camminava, ma volava per approssimarsi all’amato suo Dio, che con tanta ansietà fino allora aveva cercato con tanta fatica e stento. Ma che, quando credeva di raggiungerlo, nuovamente si nascondeva, lasciando nell’anima maggior brama di possederlo. Si accendeva viepiù in me la fiamma della divina carità, e questa faceva crudo scempio di me, e l’anima mia, piena di fortezza e costanza, sempre più con sommo ardore, in mezzo a quelle folte tenebre, cercava il mio Dio. Di qual tempra sia questa sorta di patimenti non si può di certo spiegare. Senza la grazia speciale di Dio non si resiste, perché è così crudo e sensibile il patire, che può chiamarsi un forte martirio, che non si può spiegare. Mentre Dio dona all’anima un desiderio veementissimo di congiungersi, di unirsi con lui, di medesimarsi con lui, tanta è l’intelligenza ed il rapimento che le comparte, che necessita l’anima di aspirare a questa perfetta unione; intanto Dio, per compiacenza, suscita nell’anima un amore tanto grande che la strugge e consuma per amore dell’amante e le rende altamente afflitto il cuore.

Ogni giorno si accrescevano a dismisura le pene, le angustie nel desolato mio spirito. Compartendomi Dio per sua bontà tanto lume di propria cognizione, che odiavo me stessa, e mi pareva di essere odiosa a Dio, ai santi, agli angeli, agli uomini.

 

Oh Dio, qual pena è mai questa, che non si può spiegare, che portava l’anima mia ad un doloroso conflitto; altro non facevo che pascermi di amarissime lacrime e di affannosi sospiri, sopraffatta dalle pene e dal dolore, che mi riduceva quasi ad agonizzare.

Una notte stando in queste orazioni così penose per accrescimento delle mie pene, vidi il mio spirito sopra quel monte anzidetto, che camminava in mezzo a quelle folte tenebre; un piccolo splendore lo scortava e gli additava il cammino dell’erto monte, camminava con molta attenzione appresso al piccolo splendore, per il timore di non perdersi in mezzo a quelle folte tenebre.

Il mio spirito lo vedevo per mezzo di quella piccola luce, ed era tutto vestito di candide vesti, ma quello che mi recò gran pena fu di vederlo vestito goffo e poco attillato, erano questi bei vestimenti tutti risplendenti.

Questa vista mi consolò, ma non restò pago il mio cuore, perché l’importunità delle vesti mi parve che volesse significare la mia negligenza nell’operare, sicché per questo molto mi afflissi, e piangendo dirottamente chiedevo perdono al Signore e lo pregavo incessantemente di darmi la grazia di corrispondere alle tante sue divine misericordie e a tanti suoi favori.

Non sto qui a dire le lunghe preghiere che facevo, le lacrime che versavo, gli affannosi sospiri che il mio cuore inviava verso il suo Dio, mentre in mezzo a quelle folte tenebre non distinguevo se Dio era con me, se io ero in grazia sua; qual pena recasse questa dubbiezza al mio cuore, non posso al certo esprimerlo. Sentivo intanto un amor grande verso Dio, ed una necessità di amarlo.

Questa è un’amorosa prova che Dio fa all’anima, e l’anima mia molto bene lo distingueva, e viepiù si accendeva di santo amore, il quale faceva crudo scempio di me, e così martirizzava l’anima e il corpo. Questo doloroso conflitto durò 33 giorni: dal 31 dicembre 1822 fino al 3 febbraio 1823. Sicché il mese di gennaio lo passai in queste gravissime afflizioni.

Tralascio il dire come Dio, per sua infinita bontà, mi sollevò da queste gravi angustie, riservandomi a darne riscontro in altro cartolaro. Intanto prego vostra paternità reverendissima di esaminare questo, che umilio e soggetto al savio suo parere e consiglio, per quiete della povera anima mia, la quale sempre dubita di essere ingannata dal demonio: protestandomi avanti al mio Dio, di aver scritto questi fogli a sua maggior gloria, e per obbedire vostra paternità, che me l’ha comandato.

 




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