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Beata Elisabetta Canori Mora Diario IntraText CT - Lettura del testo |
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5. Un monte la cui sommità arriva al cielo
Riprendo il filo del racconto. Dopo essere stata per qualche tempo godendo di questo bene inarrabile, che non so dire qual spazio di tempo fosse, tornai in me stessa ritenendo in me i buoni effetti, mi trovavo ancora tutta assorta in Dio, e quasi come in un nuovo mondo, tanto per il favore ricevuto, come ancora per trovarmi sgombra da quelle folte tenebre.In questo tempo fu nuovamente chiamata l’anima da Dio, il quale si degnò farmi vedere un monte altissimo, la cui sommità arrivava al cielo. Era questo monte ricoperto di languida luce, ma era tanto erto e dritto che sembrava impossibile il poterlo salire. Io lo guardavo con ammirazione, ed intanto riflettevo alla grande difficoltà di poterlo salire, ciò nonostante questi ostacoli, io sentivo in me un santo desiderio di intraprendere quell’arduo cammino, ma bilanciavo le mie deboli forze, e sempre più si sembrava non solo difficile, ma affatto impossibile di intraprendere un sì laborioso viaggio. Stando io in questo forte contrasto, non sapevo cosa risolvere, ma il mio Dio si degnò di sciogliere tutte le mie difficoltà, così prese a parlare il mio buon Signore: «Figlia carissima, non bilanciare le tue forze; ma, tutta affidata alla mia onnipotenza, potrai con facilità salire l’erto monte, il mio divino aiuto mai ti mancherà. Io sarò sempre con te e tu felicemente arriverai fino alla sommità del monte santo dove io ti aspetto per coronarti d’immortalità, questa sarà un’opera per me di gloria e di onore, e per te di gran merito». A queste parole la povera anima mia profondamente si umiliò, e con voce flebile e tremante così rispose: «Mio Dio, dove mi volete voi condurre? Che non mi conoscete, che sono la creatura più vile, più ingrata che abita la terra? Come volete che l’anima mia, contaminata da tante miserie e peccati, possa salire questo monte santo, che hanno calcato i vostri fedelissimi servi che ora vi godono in paradiso? Ah, non son degna, mio Dio, di tanto onore. Cosa potete sperare da me, povera e vile vostra serva, voi lo vedete, Dio mio, Signore mio, che io altro non faccio che disonorare la vostra divina maestà, con le mie replicate ingratitudini! Ah Signore, abbiate riguardo al vostro onore, alla vostra gloria, la quale mi è più cara che il proprio mio vantaggio». Fondata in questi umili e giusti sentimenti, piangevo dirottamente e sospiravo, in luogo di consolarmi stavo tutta mortificata, stetti due giorni in questa situazione. Ero tutta assorta in Dio conservando nel mio cuore questi umili sentimenti, in santo raccoglimento, lodavo e benedicevo il mio Dio, che si degnava favorirmi con la sua divina grazia, nonostante il mio gran demerito.
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