Il dì 14 febbraio 1823, festa del beato
Giovanni Battista, riformatore dell’ordine triritario, la mattina nella santa
Comunione si sopì il mio spirito in Dio in modo molto particolare, restai
astratta dai sensi, il Signore mi comunicò un lume molto particolare di propria
cognizione; in questa umile situazione mi portai a San Carlo alle Quattro
Fontane per ivi assistere alla Messa cantata, mi prostrai in ginocchioni, e
così immobile restai per due ore circa, senza più distinguere la mia
sensibilità; questo tempo lo passai in umili preghiere e abbondanti lacrime,
che dagli occhi versavo in gran copia raccomandandomi al santo riformatore ad
ottenermi la remissione dei miei gravissimi peccati, e la grazia di salvare
questa povera anima mia. Lo pregavo ancora incessantemente a farmi conoscere se
io andavo ingannata dallo spirito delle tenebre; sfogavo ancora, con questo benedetto
santo, i miei sentimenti, le mie afflizioni, il mio aggravio nell’avere
acconsentito al surriferito favore di Dio, così gli dicevo: «Come volete, santo
mio benedetto, che io possa di buona voglia acconsentire di essere trinitaria,
se sono la creatura più vile che abita la terra, come? io che sono una
stracciona, un’ignorante, come potrò sostenere un simile incarico? Ah, santo
mio benedetto, pensateci voi di pregare l’Altissimo, acciò si degni assentarmi
da questo forte incarico, mio Dio, io rinunzio a questa grazia, a questo
favore».
Piangevo intanto dirottamente: «Mio amorosissimo Dio, rinunzio, sì rinunzio
a questo vostro favore, per non disonorare la vostra divina maestà! Mio Dio,
voi pure lo sapete che io sono una povera spergiura, santo mio benedetto
pensateci voi, che non venga da me disonorato Dio, che tanto cara mi è la sua
gloria, il suo onore. Ah, non sia mai vero che per innalzare un verme vilissimo
della terra, quale io sono, abbia da oscurarsi la gloria di un Dio di infinita
maestà! Santo mio glorioso, zelate voi l’onore di Dio».
Speravo che le mie ragioni avessero convinto il santo zelo del beato
Giovanni, mi pareva che i miei sentimenti fossero giusti e prudenti, e che il
santo avrebbe preso a difendere l’onore di Dio con l’escludere a me da questo
incarico ma fu tutto al contrario di quello che pensavo. Così mi rispose il
santo, non facendosi però da me vedere: «Figlia
mia», mi disse, «non ti negare ai
favori dell’altissimo Dio, adora i suoi divini giudizi, accetta con umiltà la
sua grazia».
A queste parole del santo, intesi tutta commuovermi, conoscendo il suo
giusto parlare, e la mia stoltezza nel rifiutare le divine misericordie.
Ravveduta, dunque, volevo accettare di buon grado, ma non potevo, perché un
forte timore me lo impediva, perché ponevo lo sguardo sopra la mia viltà, non
mi reggeva il cuore di attendere a questa grande opera; tornai nuovamente a
dire al santo: «Ah, che io mi trovo insufficiente, sono affatto incapace di
regolare un’opera sì grande; voi, santo glorioso, sapete quanta fatica vi è
costata, quanto avete patito e sofferto».
«Sì», mi rispose il santo: «è vero, mi costò grande fatica, ma tu non
devi tanto faticare! altro non devi fare che venire appresso alle mie norme,
questo ti basta per compiacere la divina maestà.Mira», mi disse, «o figlia, quanto facile ti sarà il regolare
questa opera! Dio con la sua grazia ti faciliterà l’impresa».
Allora mi fece vedere una macchina quanto mai bella, stabile, ma nello
stesso tempo movibile, ma io non la so descrivere. Dopo avermi fatto vedere
questa bella macchina, soggiunse: «Ti
pare adesso tanto ardua l’impresa, tu altro non devi fare che stare al registro
di essa.Non temere, che Dio medesimo è l’autore e il regolatore di questa
grande opera».
A questa vista restai altamente confusa e convinta, perché conobbi ad
evidenza la mia ingratitudine di non voler fare tanto poco per compiacere il
mio Dio, gli chiesi per questo umilmente perdono, poi tornai a pregare il santo
così: «Mio carissimo padre, deh, per pietà, non mi abbandonate come meriterei,
deh vi prego di proteggermi, vi dono la mia volontà, voi presentatela al mio
Dio, acciò disponga di me come più gli aggrada».
Rivolta poi a Dio dissi: «Deh, mio amorosissimo Signore, degnatevi di
ricevere la mia volontà per le mari di questo vostro fedelissimo servo, io ve
la dono, ve la consacro, io ve la offro interamente, fate di me ciò che vi
aggrada».
Fatta questa offerta Dio mi fece provare una consolazione di spirito tanto
grande, che non lo posso spiegare, un abbandono totale della mia volontà nella
divina volontà di Dio, tanto perfetta che può chiamarsi un’intima unione.
Dopo aver goduto questo grande bene, il mio Dio si degnò darmi a vedere il
suo fedelissimo servo, il beato Giovanni Battista della santissima Concezione;
cosa mai dirò della sua bellezza, della sua gloria? al certo non mi è possibile
il poterlo manifestare; ma pure dirò qualche cosa, per non mancare alla santa
obbedienza.
Io lo vedevo in atto estatico, tutto assorto in Dio, con tre raggi di
splendida luce sopra il suo capo, che lo rendeva tanto bello, che non si poteva
mirare il suo volto, per lo splendore.
Dalla croce del suo scapolare scintillava tanto splendore, che non si
poteva fissare in lui lo sguardo, questa vista destò in me molta stima e
venerazione, ed insieme un indicibile contento, che non posso esprimere, ma
questo contento era unito ad un profondo di umiltà, che mi annientava in me
stessa e mi faceva solo ammirare l’infinita bontà di Dio.
In questo tempo vidi apparire il glorioso stendardo trinitario, con grande
numero di anime dei santi religiosi che militano sotto questo glorioso
stendardo, accompagnati da molti santi angeli, che festosi facevano coro
cantando inni di gloria all’Altissimo, con somma gioia fu annoverata la povera
anima sotto questo glorioso stendardo della santissima.
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