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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 70 – L’AIUTO DEL SANTO RIFORMATORE TRINITARIO
      • 4. Dio solo sa quanto mi costano questi scritti
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4. Dio solo sa quanto mi costano questi scritti

 

Per ordine del mio padre spirituale riporto le gravi molestie che ho dovuto soffrire dal nemico tentatore, che voleva a tutto suo costo impedire che io scrivessi quanto passa nel mio spirito nel tempo delle orazioni, con le sue diaboliche suggestioni mi ha sempre perseguitata, acciò non scrivessi; solo Dio sa quanto mi costano questi scritti, quante fatiche e pene ho dovuto soffrire dalla diabolica suggestione, che si trova sempre pronta, quando scrivo per confondermi e farmi credere che quello che passa nel mio spirito nel tempo delle orazioni altro non è che un gioco della mia fantasia alterata, che mi fa vedere tutte quelle rappresentanze fantastiche.

La suggestione mi dice: «Non curare, né raccontare al confessore quello che ti salta per il capo nel tempo dell’orazione, disprezza tutte queste cose, se no andrai ad intisichire, vedi quanto aggravio ti porta il vivere così tediata e concentrata, sciocca che sei, potresti fare una vita allegra e contenta senza tanti pensieri; lascia lo scrivere, non far caso a quanto segue nel tuo spirito, allora potrai divertirti e stare allegra, non dare ascolto al confessore che non sei obbligata di obbedirlo quando ti comanda imprudentemente».

Non solo queste, ma tante altre cose mi suggeriva per persuadermi di lasciare affatto la vita interiore, era tanto forte la tentazione che mi dava gravissima angustia e molte volte sono stata sul punto di stracciare i miei scritti in minutissimi pezzi.

Il nemico mi voleva persuadere dicendomi che andavo formando il mio processo, che questi scritti sarebbero stati l’eterna mia condanna, a queste forti suggestioni io sentivo una pena grandissima, perché mi si ottenebrava la mente e non potevo discernere il vero dal falso, tanto più che mi diceva la verità. «Non vedi», diceva, «che sei una sciocca senza senno, non sei capace al certo di penetrare tanto alto, sei una miserabile, sei un’indegna, in te altro non c’è che sogni e vaniloqui».

Queste ragioni mi pareva che mi quadrassero, perché è vero, verissimo che io sono una scellerata, una sciocca, una insensata, perché ho offeso tante volte gravemente il mio Dio tanto buono; a questo riflesso mi mettevo a piangere e facevo forte ricorso al mio Signore Gesù Cristo, il quale, per sua infinita bontà, immantinente mi dava soccorso con l’illustrare la mia mente; così conoscevo il vero dal falso spirito, che mi voleva subornare con le sue menzogne, così tornava la calma al mio cuore e godevo una pace di paradiso, e una semplicità molto particolare mi campartiva Dio, allora raccontavo tutto al mio Dio quanto mi era seguito come se Dio niente ne sapesse di quanto avevo io patito e questo lo facevo con tanta puerilità, tutta propria dei fanciulli, quando raccontano ai loro genitori le loro angustie, così si convertiva la mia luttuosa scena, in un paradiso di contento, e potevo scrivere tranquillamente per molti giorni, ma poi si tornava da capo a combattere con la medesima suggestione e prosegue a molestarmi tuttora quando scrivo i noti fogli.

Ma non tutte le volte mi era permesso né potevo fare questo ricorso al mio Dio, perché permetteva il Signore che la diabolica suggestione mi inviluppasse di più la mente, e così dovevo patire e soffrire pene molto grandi, perfino a sospendermi le potenze dell’anima; in mezzo alla confusione delle suggestioni, che io non capivo più, tenevo le carte avanti ma non potevo fare neppure una parola, sentivo uno stringimento interno che mi pareva di morire, non ricordarmi più le lettere che compongono le parole, scrivevo una lettera per un’altra, scrivevo affatto fuori di senso.

Nel vedere questi cattivi effetti, ero ancora tentata di impazienza contro me stessa e contro ancora il mio direttore, per avermi imposto questa obbedienza, per quanto mai io possa dire, mai dirò quanto mi costino questi scritti, torno a dire che solo Dio lo sa, che mi ha dato la forza, la grazia di superare questi forti ostacoli.

Per ordine del mio padre spirituale prendo a raccontare un’altra sevizia sofferta dalla diabolica suggestione.

 

Nell’anno 1823, in cui ci troviamo, per la grazia di Dio, nel mese di febbraio, giorno 17, la sera stavo nel mio oratorio trascrivendo dal giornale vari fatti accadutimi negli scorsi mesi di ottobre, novembre e dicembre, per darne il dovuto discarico al mio padre spirituale. In questo tempo mi assalì improvvisamente la suggestione diabolica, che provò a fare crudo scempio di me, cosa non disse, cosa non fece per sovvertirmi, poco mancò che io non facessi in minutissimi pezzi i miei scritti, tanto fu la diabolica oppressione e l’angustia che mi dava, dicendomi: «Strappa quei fogli, che queste non sono cose da darsi alla luce, è un grande sciocco quell’uomo del tuo confessore, che ti fa scrivere queste baggianate, tu sei una pazza e non ti avvedi che dici cose che sono affatto non solo credibili, ma del tutto impossibili; queste sono cose tutte da riprovarsi e non da approvarsi. Non ti fidare, ché il tuo confessore ti inganna, bella figura fai tu di sollevarti tanto alto! non vedi che sei una miserabile, che sei piena di miserie e peccati?».

A queste verità io viepiù mi inviluppavo, perché conoscevo essere questa verità, che sono la creatura più miserabile, più peccatrice che abita la terra.

In questo caso così funesto mi rivolsi al mio Dio, piangendo dirottamente, confessando questa verità che sono una miserabile, una peccatrice. Mi posi in ginocchioni, con la fronte per terra, ed in questa positura mi trattenni più di mezz’ora, invocando il nome santissimo di Gesù, facendo fervide preghiere, ottenni la liberazione di questa diabolica molestia, ad un tratto tornò la calma al mio cuore, così potei tornare a scrivere con somma pace e tranquillità, godendo una quiete di paradiso.

 




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