Riprendo il filo del racconto: dopo essere
stata così favorita dal Signore in quella foresta, come dicemmo.
Il giorno dell’Ascensione del Signore, che fu il dì 8 maggio 1823, l’anima
mia rintraprese il viaggio al monte santo dove prosegue il suo penoso viaggio,
perché più si inoltra verso la sommità del santo monte, tanto più si accrescono
i travagli e le angustie, andavano sempre più aumentando i santi desideri di
possedere Dio.
L’anima dunque, così accesa di santo amore, famelica andava in traccia
dell’amato suo bene, desiderando di possederlo e possederlo per sempre. Quali e
quante fossero le brame di questo cuore ferito, io non so al certo dirlo, né ho
termini di dimostrarlo, ma posso dire, per verità, che neppure io potei
comprendere la viva fiamma che mi bruciava il cuore, il forte incendio del
divino amore fa dolce strazio del mio povero cuore, altra grazia non cercavo al
mio buon Dio, che di morire, per così sciogliermi dai vincoli di questo fragil
corpo, così volare liberamente nel castissimo seno del mio Dio.
Questo ardentissimo desiderio martirizza l’anima mia giorno e notte, in
guisa tale che io non lo posso più contenere, e sono persuasa mi darà presto la
morte, in questi termini, con questi spasimi al cuore, andava l’anima facendo
il suo viaggio per l’erto monte, portando con sé l’affanno, la pena, il dolore.
Mossosi a compassione, il mio Dio improvvisamente mi si fece vedere alla
sommità del monte, vidi il mio Dio che stava con le braccia aperte qual padre
amante, significandomi l’ardente brama che in sé conserva di abbracciare la
povera anima mia.
Questa vista riempì il mio cuore di somma consolazione, e di tanta dolcezza
e gaudio fu ripieno il mio spirito, che per godere di quella sola vista, tenni
per bene impiegato tutto quello che avevo patito e faticato nel decorso di
tutta la mia vita. Ardisco dire di più, a gloria del medesimo Dio, che mi
contenterei di godere di quel bene che godetti in quei felici momenti, di
godere questo solo bene per tutta l’eternità, sì, quella sola vista mi
basterebbe per farmi eternamente beata; vorrei, per rispetto e riverenza dovuta
all’infinita maestà di Dio, tacere e non parlare di quanto vidi alla sommità di
quel vastissimo monte, ma la santa obbedienza mi obbliga contro mia voglia il
manifestarlo: ma io cosa dirò mai, se la mia bassa mente non poté neppure
comprenderlo?
Qual vasto oceano di eterna immensità mi si presentò Dio, alla vista della
mia bassa mente. Oh felicissimi momenti, degni solo dell’infinita bontà di un
Dio, che tutto si dona per amore alle sue creature! La sola vista, e non il
possesso di questo grande bene, mi bastò di farmi beata sopra la terra per quei
felici momenti; mi fu mostrato il simbolo della triade sacrosanta, sotto la
forma di una splendidissima e vastissima nube, questa aveva tre rappresentanze,
benché una sola fosse la nube.
Tre immensi raggi di eterna luce, in essa nube risplendevano, uno distinto
dall’altro, benché una sola fosse la luce, conservava, conteneva in se stessa
tre qualità di splendori, uno distinto dall’altro.
Cosa così meravigliosa e bella che non si può spiegare, vista che rapisce
lo spirito e lo tiene assorto in Dio, vista che dona all’anima tutta la sua
felicità, vista che dona all’anima tutte sorte di beni soprabbondanti,
inarrabili e incomprensibili.
Non so spiegarmi altrimenti, mentre mi avvedo che lo scrivere su di ciò,
altro non è che un oscurare l’alta gloria di un Dio di eterna maestà; spero
però che l’infinita bontà di Dio mi abbia per scusata, mentre la santa
obbedienza me lo comandò. Non intendo, mai e poi mai, sostenere quello che
passa nel mio spirito, ma solo intendo di assoggettarlo al savio consiglio di
vostra paternità reverendissima, a cui umilio questi miei scritti, con tutto il
dovuto rispetto e massima soggezione filiale alla paterna sua carità.
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