Riprendo
il filo del racconto:
Dio, di propria mano, introdusse l’anima nel divino tabernacolo, e a sé la unì
intimamente e la riempì di gaudio celeste, di amore ardente, che distruggeva la
proprietà dell’anima e la medesimava in Dio. Non posso dire di più, ma cosa
dirò mai della magnificenza di questo divino tabernacolo? al certo non mi
riesce di poterlo manifestare, né tanto poco posso narrare il glorioso
ricevimento che ricevette l’anima dall’amante suo Dio, che per l’esuberanza del
suo divino amore pareva si fosse dimenticato della sua sovranità per deliziarsi
con la povera anima mia.
Altro non dico, perché il savio sapere di vostra paternità reverendissima,
intorno a questa divina scienza, molto bene le fa intendere il significato di
questi divini favori.
Io non ardisco dire di più, perché sono confusa abbastanza per il rossore
che ne provo in me stessa, nello scrivere quanto passa nel mio spirito, questo
lo faccio per sola obbedienza, ma mi costa grande ripugnanza, e mi protesto che
non intendo in nessuna maniera di dar credito a quanto passa nel mio spirito,
ma tutto soggetto col più umile sentimento al savio parere di vostra paternità
reverendissima, per quiete del mio spirito.
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