Il dì primo ottobre 1823, essendo passata
all’altra vita la figliola di un mio grande benefattore, signor G. S., il dì 30
settembre 1823, molto mi impegnai, da miserabile come sono, nella lunga
malattia di detta defunta, acciò il Signore si degnasse salvare quest’anima
eternamente.
Molte grazie il Signore si degnò farle nella sua dolorosa infermità,
segnatamente di visitarla, per ben quattro volte, per mezzo della santissima
Comunione sacramentale, compartendole molta pazienza e rassegnazione al suo
divino volere, benché si trovasse di fresca età e gravata di numerosa famiglia
di figli otto, di tenera età. Ciò nonostante, chinò il capo alla divina
volontà.
Si esercitava in atti di somma pazienza, soffrendo il grave suo male per
amore di Dio, facendo molte elemosine in vantaggio dell’anima sua.
Io, da miserabile peccatrice, accompagnavo il suo patire con la continua
preghiera, essendo io ogni giorno notiziata dal suo buonissimo padre di tutti i
mali che pativa la paziente sua figliola.
Subito che fu spirata la bell’anima, il padre mandò ad avvisarmi che la
figlia era passata agli eterni riposi, alle ore tre di notte. E questo fu la
notte del dì 30 settembre 1823.
Ricevuta questa nuova, immantinente mi portai al mio oratorio; pregai con molto
fervore il mio Dio, acciò si degnasse liberare quest’anima dal purgatorio,
avendomi il Signore, per sua bontà, permesso di salvare quest’anima, la quale
in principio della sua malattia non si trovava troppo disposta, ma per mezzo
delle continue preghiere che si fecero a suo vantaggio, il Signore, per gli
infiniti suoi meriti, la dispose a morire santamente.
Proseguo. Fui ispirata dal Signore la mattina
seguente, che era il primo di ottobre, di farle celebrare la santa Messa dal mio
confessore, applicando alla suddetta il santo sacrificio, ancora la povera mia
Comunione in suffragio della suddetta.
Ricevuta che ebbi la santa Comunione, pregai incessantemente il mio
sacramentato Signore, acciò si degnasse di presto liberare la suddetta anima
dal purgatorio. Al Signore piacque di esaudire la mia preghiera, e per sua
infinita bontà, mi promise che il giorno seguente mi avrebbe consolata col
condurre quest’anima in cielo, a godere la visione beatifica.
All’ora della Messa cantata, al Libera
me, Domine, sarebbe liberata dal purgatorio, per mezzo del suo Angelo
custode, nel qual giorno ricorreva la festa. Il mio Dio mi fece ben conoscere
che questa era una grazia ben grande che mi faceva, di tanto abbreviare il
tempo alle sue misericordie, mentre la suddetta anima doveva, per la divina
giustizia, ritenersi in purgatorio per lungo spazio di tempo, ma essendo figlia
di un mio benefattore, attesa la promessa fattami, mi compartiva, per sua
bontà, la grazia.
Quali e quanti fossero i miei ringraziamenti non so dirlo, piangevo di
tenerezza nel vedermi favorita dal mio Dio, confessandomi indegnissima di
ricevere le sue grazie.
La mattina dei santi Angeli custodi, 2 ottobre, ricevetti la santa
Comunione, applicandola in suffragio della suddetta anima. Quando stavo
ascoltando la quinta Messa, improvvisamente si raccolse intimamente il mio
spirito. In questo tempo vidi il felice passaggio di quest’anima benedetta al
paradiso, accompagnata dal suo santo Angelo custode. Vidi ancora una
moltitudine di Angeli che vennero ad incontrarla, con grande festa ed applauso
la condussero nell’altezza dei cieli, e in un baleno disparve la celeste
visione, restando nel mio cuore un gaudio di paradiso e tanto di celeste
consolazione nell’anima, che mi tenne assorta in Dio tutta la giornata e buona
parte della notte.
La notte del 4 ottobre 1823 stavo nel mio oratorio orando, quando, per
mezzo di una interna illustrazione, Dio si degnò chiamare il mio spirito, e
conducendolo con lui gli fece scorrere le sue divine magnificenze, gli fece
penetrare la sua potenza nel creare tutto il mondo sensibile, condusse il mio
spirito nell’altezza dei cieli, e mi fece penetrare la luna, le stelle, il
firmamento, mi fece penetrare il sole, i suoi pianeti e tante altre belle cose
celesti, che io non so dire. Con tono maestoso e bello diceva Dio all’anima
mia: «Vedi, queste sono opere fatte dalla
mia onnipotente mano, in un momento le feci: Ipse dixit et facta sunt».
Questo parlare di Dio con l’anima non era con parole sensibili, ma in una
maniera che io non so spiegare.
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