Il dì 18 ottobre 1823, trovandomi al paese
di Marino stavo in orazioni, quando ad un tratto il mio Dio sollevò il mio spirito
ad una celeste visione, mi trovai con lo spirito in una amenissima campagna di
soavità ripiena; vedevo da quelle amene colline che la circondavano, scendere
una moltitudine di santi angeli, i quali festosi venivano a congratularsi con
l’anima, per vederla in questo sacro luogo. Queste schiere angeliche mi
facevano di intorno corona. Ma bisogna premettere, a mia confusione, che Dio
nel condurmi in questo luogo aveva comunicato all’anima mia un celeste
splendore, che illuminava tutta quella vasta campagna, la quale risplendeva
come risplende il sole nel suo meriggio. Queste schiere angeliche erano tutte
accorse all’inaspettato chiarore, e riconoscendo in questa anima l’opera del
Signore si congratulavano con lei, lodando e benedicendo l’increata sapienza.
La povera anima era ripiena di confusione e di rossore, per il sentimento,
che mi aveva comunicato il mio Dio, di propria cognizione, mi umiliavo fino al
profondo cupo abisso del mio nulla, e pregavo quegli angelici spiriti a lodare
e ringraziare il mio Dio per me. Fra questi celesti spiriti mi si dava a
conoscere il mio angelo custode, il quale vedevo assai più bello di tutti i
suoi compagni. Non posso al certo spiegare con qual tenerezza, rispetto e
venerazione la povera anima mia ossequiò il suo santo angelo, oh con quanto
affetto lo ringraziò di tanti aiuti, di tante grazie, di tanta assistenza che
mi ha prestato nel custodirmi. Gli domandai mille volte perdono di tanti
disgusti che gli ho dato, in tutto il decorso della mia vita, lo pregai ad
aiutarmi e custodirmi, gli promisi di essere fedele al mio Dio, per mezzo della
sua divina grazia.
Questo mio santo angelo custode conoscevo essere un angelo delle alte
gerarchie degli angeli, di quelli che sono assistenti all’augusto trono di Dio,
i quali meritano maggior rispetto e stima. La povera anima mia molto
ringraziava il Signore per avergli dato per custode questo inclito personaggio.
Come già dissi, l’anima mia la vedevo sotto il simbolo di leggiadra
donzella, cinta di celeste splendore, né la bellezza né il celestiale splendore
toglieva all’anima il lume di propria cognizione, che il mio Dio mi aveva
donato, anzi, il celeste splendore annientava l’anima nel profondo del proprio
suo nulla, e tutto questo bene che vedeva in sé, lo attribuiva giustamente
all’infinita bontà di Dio, che sol trionfare nelle più vili sue creature.
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