Camminava dunque l’anima mia nel profondo
della santa umiltà, quando quei celesti spiriti additarono all’anima il divino
tabernacolo, che posto era sopra un altissimo monte, a questa notizia l’anima
frettolosa là diresse il suo passo, portata da santi affetti, volando e non
camminando si trovò l’anima vicino al divino tabernacolo, dove risiedeva il mio
Dio: non posso al certo spiegare di qual tempra fossero i santi affetti e i
santi desideri dell’anima, prodotti dal santo e divino amore di Dio.
Alla porta del sacro tabernacolo vi erano due incliti personaggi riccamente
vestiti, la loro maestà e bellezza destava nel mio cuore venerazione e
rispetto; questi due grandi principi, vedendo l’anima mia accompagnata da
quella moltitudine di spiriti celesti, segnatamente dal mio santo angelo
custode, che fra tutti quei beati spiriti si distingueva per la sua sovrana
bellezza, per essere della gerarchia maggiore. I due principi custodi del
divino tabernacolo si degnarono introdurre nel divino tabernacolo la povera
anima mia. Cosa dirò mai, se mi manca la lena di proseguire il racconto? Ma la
santa obbedienza mi obbliga di manifestare, alla meglio che so e posso, quanto
segue nel mio spirito. Dunque, a maggior gloria di Dio, proseguo il racconto
con i soliti rozzi miei termini.
La povera anima mia ebbe la sorte di adorare Dio in spirito e verità.
Introdotta che fui in quel sacrosanto tabernacolo, l’anima fu rapita in Dio:
tante furono le bellissime cose che vidi, tante furono le belle cose che
comprese il mio spirito, per mezzo di particolare cognizione e intelligenza,
che non so né posso esprimerle né ridirle, tanta fu la piena dell’illustrazione
divina, che l’anima restò assorbita, medesimata in Dio.
Non ho al certo termini di spiegare con qual tenerezza di affetto Dio si
degnò trattare la povera anima mia, in questo divino suo tabernacolo, non è
possibile al certo di manifestarlo.
Di santo orrore era ripieno il mio cuore, fisso tenevo nella mente la mia
ingratitudine, la mia infedeltà. In mezzo a tanto bene, la contrizione, il
dolore di avere tanto offeso il mio Dio mi crucciava il cuore; l’amore di
corrispondenza e la gratitudine da un’altra parte mi struggeva, mi si
stemperava il cuore, e con lacrime abbondantissime di dolore e di gratitudine,
in questa guisa si liquefaceva il mio spirito. Dio si compiaceva di vedermi in
quello stato ridotta per amor suo, a sé univa l’anima intimamente,
abbracciandola la stringeva al castissimo suo seno, imprimendo nell’anima
affettuosi baci. Oh mia grande confusione! devo aggiungere anche di più, il mio
buonissimo Dio poi si degnò di invitare la peccatrice anima mia a fare con lui
il simile contraccambio.
A questo invito cresceva a dismisura il sacro orrore dell’anima, e restava
fuori di se stessa per lo stupore, e viepiù si accresceva in me il lume della
propria cognizione, che mi umiliava profondamente, in maniera tale che non
saprei bilanciare se sia più il godere di questi divini favori o la pena che si
soffre nel conoscersi immeritevole di queste grazie; la santa umiltà che Dio
comparte all’anima mia in questi casi è tanto grande, che l’anima si profonda
sotto i piedi degli stessi demoni, benché anche si veda favorita dall’amoroso
suo Dio, perché giustamente conosce che questo non è che un tratto purissimo
della sua infinita carità.
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