74 – AFFERRAI IL BRACCIO ONNIPOTENTE DI DIO
Il dì 22 gennaio 1824, il mio spirito fu
di nuovo ricondotto in quella sopraddetta macchia, dove con somma mia pena
distinguevo in quella tetra rappresentanza di sterilissimi alberi, come già
dissi, la sterilità lacrimevole di tante povere anime, che sono senza numero,
che, depravate le loro coscienze, possono chiamarsi senza fede, senza
religione, perché a tutto pensano fuorché a quello che ogni buon cattolico è
obbligato di pensare, tutto operano fuori di quello che devono operare; ma,
tutti intenti e sovvertiti dalle false massime della filosofia dei nostri
tempi, conculcano la santa legge di Dio e i suoi divini precetti: queste misere
piante sono riguardate dal divino padrone non solo per sterili, ma per nocive e
pessime, meritevoli di essere gettate nel fuoco eterno.
Si trovava dunque il mio povero spirito in questa sterilissima terra,
guardava con occhio di compassione quelle misere piante, conoscendo il
significato di esse, piangeva dirottamente, compassionando lo stato
infelicissimo di queste povere anime viatrici; quale e quanta fosse la pena e
l’afflizione che ne provava il mio spirito non posso al certo ridirlo. Mi pascevo
di amarissime lacrime e dei più affannosi sospiri, pensando che tante anime,
redente col sangue preziosissimo di Gesù Cristo, si trovassero in stato così
deplorabile; pregavo per queste anime infelici, mi raccomandavo; ma nella
preghiera si accresceva in me a dismisura l’affanno e la pena, perché Dio, per
sua bontà, mi dava una chiara cognizione della loro malizia, della loro
sfacciataggine, della loro temerarietà nell’offenderlo, nel disprezzarlo.
Oh Dio, a questa cognizione il mio spirito restò interdetto, e non poté più
pregare, perché la giustizia di Dio me lo vietava. Intanto nel mio cuore si
accresceva la pena, l’affanno, ed era trapassato da fiero dolore; il grave
timore di vedere un Dio sdegnato mi faceva tremare da capo a piedi e mi
riempiva di sacro orrore.
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