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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 74 – AFFERRAI IL BRACCIO ONNIPOTENTE DI DIO
      • 3. Il mio male pareva mortale
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3. Il mio male pareva mortale

 

Quando tornai nei propri sensi, mi trovai stramazzone per terra nel mio oratorio privato, piena di timore e di spavento, non sapevo dove mi trovavo, dubitavo di essere già nel baratro dell’inferno, perché ricordavo Dio sdegnato, ricordavo il mio sommo ardire, e non sapevo se questa mia operazione fosse stata approvata o riprovata da Dio. Tanto grande fu lo spavento prima e dopo, che io non distinguevo più i propri sensi, ero come stupida, ed il fatto lo comprovò, perché, sopraffatta dallo spavento e dal grandissimo strazio sofferto, per essere stata così malmenata e così portata l’anima in aria rapidamente e così velocemente dalla divina giustizia, ne venne, per conseguenza, a soffrire ancora il corpo, sicché un forte stravaso di umori mi fece gonfiare tutta da capo a piedi, e mi rese cagionevole di salute, in guisa che il mio male pareva mortale, ed io infatti ne provavo i cattivi effetti, e credevo ogni notte di rendere l’anima a Dio.

Soffrivo, per grazia del Signore, con somma pazienza questo grave mio male senza lamentarmi, ma tutto soffrivo con molta ilarità di spirito; compiacendomi nella divina volontà del mio Dio, non ignorando qual fosse la cagione del grave mio male. Ma non passarono molti giorni che le mie due figlie ed altri miei parenti si avvidero del grave mio male, benché a tutto mio costo lo dissimulassi, ma il gonfiore non lo potevo nascondere, si misero questi in molta apprensione nel vedere che non potevo più dare un passo senza grande fatica e stento, per l’affanno di petto e per la gravità di tutta la macchina; vollero dunque le figlie chiamare il medico, e questo si fece con il permesso del mio padre spirituale, il quale sapeva la vera cagione del mio male, ciò nonostante mi disse il suddetto che il medico si doveva chiamare per più riflessi, e che mi fossi soggettata, per amore di Gesù Cristo, a prendere quanto avesse ordinato.

Venne dunque il medico a visitarmi, quando vide il mio aspetto ed intese la narrativa del mio male, mi fece un brutto pronostico, il male lo dichiarò quasi incurabile, disse che era una idropisia pessima e che, attese le deboli mie forze, non avrei certamente retto alla violenza del male. Disse il medico alla mia figlia che il male era veramente mortale e che non potevo sopravvivere.

Io tutto riferii al mio padre spirituale, il quale mi rispose: «Voi sapete l’origine del vostro male, Dio penserà a guarirvi, se a lui piace, una visita che vi faccia Dio vi troverete guarita; ma ciò nonostante la prudenza vuole che vi abbiate cura, e date un poco di nutrimento al vostro corpo, i medicamenti prendeteli con parsimonia, acciò non incorriate in un male peggiore».

Non feci né più né meno di quanto mi disse il mio padre spirituale; e difatti non i medicamenti umani, ma varie visite amorose che si degnò farmi il Signore, in pochi giorni mi trovai da questo male mortale guarita.

Come qui appresso dirò, la maggior pena che mi crucciava il cuore, e mi abbatteva nelle forze, era di non sapere se Dio fosse sdegnato con me, per aver fatto violenza alla sua divina giustizia, sebbene avevo acquistato molta tranquillità, dopo che questo fatto lo avevo comunicato al mio padre spirituale, il quale vedendomi così angustiata, mi disse: «State quieta, che questa operazione non potevate farla da voi spontaneamente, ma Dio è stato quello che ve l’ha fatta fare, dunque non può essere sdegnato con voi, state quieta, se Dio per darvi a patire ve lo vuole tenere occulto ci vuole pazienza, Adorate i suoi divini decreti, patite questa pena per amore di Dio, compiacetevi nella sua santissima volontà».

 




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