Intanto che l’anima stava così perplessa e
vacillante per il timore, fissò in alto lo sguardo e vide il sovrano suo re,
tutto premuroso, acciò l’anima si affrettasse ad andare, spedisce altri sei
messaggeri celesti, acciò questi conducano alla sua reale presenza l’anima mia.
Oh Dio, a questa seconda spedizione non mi resse più il cuore di più indugiare,
ma così ricoperta di confusione e di rossore, spronata dall’amore che sentivo
verso il mio sommo bene, frettolosa mi inviai alla sommità del santo monte,
dove mi si fecero incontro tutti festosi i sei messaggeri celesti, e come in
trionfo accompagnarono l’anima al loro sovrano re. Non fummo là giunti, che le
nobili porte del divino tabernacolo aperte si videro, un bello splendore di là
sortiva e dolce voce così diceva: «Sposa
diletta, amica mia, colomba mia, vieni, deh vieni al talamo del tuo Signore,
vieni non più tardar».
Oh Dio, qui mi perdo, non so più parlare, non so cosa dire, mi mancano i
termini di potermi spiegare, parlate voi per me, o messaggeri celesti, che mi
onoraste con l’accompagnarmi, dite voi per me, che io non so ridire, qual fu il
nobile ricevimento che mi fece il mio Dio.Io al certo non lo so ridire, la
mente umana non ci può arrivare, né a cose sensibili si possono paragonare; ma,
per non mancare alla santa obbedienza, alla meglio che posso, qualche cosa
dirò.
Quel divino tabernacolo era un vero paradiso, la bellezza, lo splendore non
si può spiegare; nel mezzo di quella luce inaccessibile, vedevo molti
nobilissimi personaggi riccamente vestiti, pieni di gloria e di maestà. Questo
che dico sono le più piccole cose di quella magnificenza incomprensibile,
inarrivabile, impenetrabile. Cosa dirò mai del re della gloria, se questi
incliti personaggi altro non erano che suoi cortigiani, che assistevano
all’augusto soglio della sovrana sua maestà? L’anima, intanto, ebria di amore,
e per il grande splendore, mi credevo di morir in mezzo alla gioia, e l’interno
gaudio non potevo più contenere, ma disciolta l’anima e liquefatta come in
odore di soavità, grato all’amante divino mio sposo, nelle sue braccia mi fece
riposare.
Altro non dico, perché più non so dire, godeva l’anima un paradiso di beni
senza distinguere, senza capire l’altezza grande del divino favore; godevo i
mirabili effetti di questo favore che mi comunicò l’amante Signore, sentendo il
mio cuore ripieno di sante virtù, una umiltà così profonda, un annientamento di
me stessa, una interna ed esterna mortificazione, un raccoglimento interno ed
esterno, una purità, una semplicità molto particolare, una certa unione
speciale col mio Dio, che per molti giorni non mi ricordavo di abitare questo
mondo sensibile, ma vivevo come in una solitudine, quasi fuori di me stessa, e
il mio spirito si trovava tutto concentrato in Dio.
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