Da questo grande bene che godetti, per lo
spazio di giorni sette, il mio spirito passò in una profonda oscurità di mente,
unita ad una derelizione di spirito, che mi portava ad un gravissimo patimento.
In questo stato, così, altro sollievo non trovavo, che di portarmi con il
pensiero all’orto delGetsemani, unendo le mie pene a quelle dell’amante mio
Redentore; mescolando le mie pene con le sue gravissime pene, così veniva
sollevato l’afflitto mio spirito, benché si accrescessero di molto i miei
patimenti, per la compassione che sentivo della passione e morte del mio
Redentore. L’amore e il dolore di averlo tanto offeso lacerava il mio cuore,
conoscendo essere stata io la cagione di tanto sudor di sangue, che versò
l’amato mio bene nell’orto. Alla rimembranza di tanta mia ingratitudine,
piangevo amaramente le mie colpe e ne domandavo umilmente perdono al mio
appassionato Signore.
In questa afflittiva situazione si trattenne il mio spirito per lo spazio
di giorni quindici. Una mattina, improvvisamente, dopo la santa Comunione, il
Signore sollevò il mio spirito per mezzo della sua divina grazia, fui condotta
dallo Spirito del Signore, in un luogo del tutto nuovo: mi trovai alla sponda
di un grande lago, alla vista del quale si atterrì il mio spirito, e rivolta al
mio Dio, così esclamai: «Dio mio, per la tua infinita bontà, non mi abbandonare
in questo grave pericolo».
A me pare, se non erro, dicevo fra me stessa, che questo lago sia il lago
dei leoni, dove fu posto Daniele profeta, questo mi pare un torrente di affanni
e di pene insuperabili, e come farò io che sono tanto debole e miserabile, come
farò a resistere a tanti urti di tentazioni, mio Dio, dubito di mancarvi di fedeltà,
mio Dio, mio Signore, ricordatevi che me lo avete promesso, che mi avreste
liberata da queste brutte tentazioni. Degnatevi mantenermi la parola, deh non
mi abbandonate in questo penoso conflitto!».
Nel tempo che ero così abbattuta dal forte timore di intraprendere questa
nuova battaglia, ecco che tutto ad un tratto sento rinvigorire il mio spirito
dal dono della fortezza: «Mio Dio, riprendo con costanza invitta, se voi
volete, eccomi pronta, sono contenta di soffrire per amor vostro ogni sorta di
travagli, non dubito punto della vostra particolare assistenza».
Ero già determinata di gettarmi in quel profondo lago, quando il mio
Signore si degnò farsi da me vedere alla sponda di quel lago, tutto raggiante
di luce, con volto piacevole, così mi disse: «Figlia arrèstati, il tuo coraggio ha pagato il mio cuore. Mia diletta
figlia, vedi fin dove giunge il mio amore verso di te, ah non regge il mio
cuore di vederti in mezzo a questo doloroso conflitto di tentazioni. Figlia, sopra
le mie spalle affidati, ed io ti tragitterò da questa all’altra sponda, e ti
condurrò sopra quel monte».
L’anima dunque alle dolci parole del suo Signore, piena di rispetto e di
venerazione, con santa fiducia, sopraffatta da santo timore sopra le divine sue
spalle si abbandonò. L’amante Signore non solo mi tragittò da quella all’altra
sponda, ma si degnò portarmi, sopra le divine sue spalle, fino alla sommità di
quell’altissimo monte, che io molto da lontano vedevo, e di sua propria mano mi
collocò in un piccolo recinto, contornato di altissime muraglie, adagiandomi
sopra una risplendente nube, che era in questo recinto, e lì mi fece riposare.
Oh dolce riposo! veramente degno dello Spirito del Signore, e chi mai potrà
manifestare la sublimità di questo misterioso riposo? Nel tempo che l’anima mia
stava così assorta in Dio e riposava nella sua immensità, il Signore di propria
sua mano chiuse la porta impenetrabile ma prima di chiudere si degnò
assicurarmi che mi amava con parziale amore, dandomi parola che in questo luogo
non sarei molestata dai miei nemici, e che nessuno dei miei avversari avrebbe
ardito di perturbarmi.
Molte altre cose mi disse l’amante Signore, per rendere quieta e contenta
la povera anima mia peccatrice, mi disse inoltre che in ogni mio bisogno avessi
invocato il suo santissimo nome in aiuto. Non poco restai contenta e
sopraffatta dal dolce riposo, il quale durò per lo spazio di tre giorni, nei
quali io posso dire che, l’anima mia non esisteva più nel mondo, ma riposava
nelle braccia santissime dell’amante suo Signore, tanto era unita l’anima mia
al suo Dio, che in qualche maniera posso dire che per lo spazio di tre giorni,
vissi di una vita quasi divina, mentre il mio respirare era un atto continuato di
amore di Dio, che pacificamente incendiava il mio cuore, e lo faceva ardere di
puro e santo amore, veniva questo divino amore corredato da tutte le sante
virtù.
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