Beata me, felice me, se questo stato fosse
stato in me permanente, ma, passati i tre giorni, mi trovai in quella
solitudine senza la presenza dell’amato mio bene, sola, raminga e piena di
timore, benché circondata fossi dalle alte muraglie, che mi rendevano sicura
del tutto, come ancora ricordavo l’immancabile parola datami dal mio Signore
Gesù Cristo, prima di chiudere la porta impenetrabile del detto recinto, dove
io mi trovavo. Ciò nonostante nel tempo che stavo fra il timore e la speranza,
sento da lungi un forte mormorio, fisso lo sguardo e vedo sopra un’altura
riuniti i miei capitali nemici, che congiuravano contro di me, e macchinavano,
a danno mio, una forte insidia.
A questa cognizione l’anima mia, con tutto l’affetto del cuore, invocò il
santissimo nome di Gesù in aiuto e, palpitando per il timore, piangevo
dirottamente e chiedevo al mio Dio soccorso per difendermi dai miei capitali
nemici.
Non ebbi terminata la preghiera che il mio buon Dio, per sua bontà, fu in mio
soccorso, e così mi parlò al cuore con voce sonante e piena di maestà: «In manibus portabunt te, ne forte offendas
ad lapidem pedem tuum». L’anima mia, rivolta al suo Dio, così esclamò: «Ah
mio Dio, mio Signore, non sono le pietre che mi offendono, ma sono i miei
capitali nemici che mi insidiano, deh aiutatemi per pietà».
Dio così tornò a parlarmi, con voce imponente e autorevole verso i miei
avversari nemici, e tutto piacevole ed affabile verso l’anima mia: «Super aspidem et basiliscum ambulabis, et
conculcabis leonem et draconem». Con suono di voce dolcissima, e piena di
carità, così mi soggiunse: «Quoniam in me
speravit, liberabo eum; protegam eum, quoniam cognovit nomen meum».
A questo parlare del sovrano mio bene, l’anima, piena di santa fiducia
nell’onnipotenza di Dio, dolcemente riposò, dileguandosi dal mio cuore ogni
ombra di timore. Restai nella mia solitudine, dove tuttora mi ritrovo, senza
essere stata più molestata dai miei nemici, ma non lascio però di soffrire
grandi pene e travagli, in mezzo ad una pace e tranquillità di spirito. Il
santo e divino amore fa crudo strazio di me.Oh Dio, di qual tempra sei, o
divino amor mio, che tanta possanza hai tu di me, non mi fai requiare né notte
né dì. Con mille spade tu ferisci il mio cuore, deh per pietà, guariscimi tu.
Ah, tu ben sai qual sia il mio desio: di essere sciolta da queste catene del
corpo mortale, per venire in cielo a regnare con te, questo solo è il rimedio
per guarire il mio povero cuore, questa è la pena, questi sono i travagli che
tuttora soffro in questa solitudine, in mezzo alla pace e alla tranquillità,
come dissi di sopra.
Non lascio, in questa solitudine, di meditare la passione e morte del mio
amante redentore Gesù, a cui affido, ai suoi meriti infiniti, la causa della
mia eterna salvezza. Conoscendomi immeritevole di questa grazia, per i miei
gravi peccati ed enormissima ingratitudine, piango amaramente le mie colpe, e
gli domando umilmente perdono, gli domando pietà e misericordia, e così mi
inabisso nel proprio mio nulla, tutto questo lo faccio per mezzo della divina
grazia.
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