Erano passati quaranta e più giorni che
l’anima mia si trovava ancora in quel sopraddetto recinto dove Dio l’aveva
posta, un giorno, all’improvviso, vedo uno splendore che mi sollecitò a fissare
lo sguardo alla sommità del cielo. Quanto vedo, con sommo mio stupore, una
città quanto mai bella e magnifica. L’atrio, ossia lo spiazzo vastissimo, che
conduceva a quella santa città, era di tersissimo cristallo. Le mura erano
altissime, alla sommità delle quali vedevo tre lucidissimi cristalli in forma
di tre occhi, i quali avevano la loro corrispondenza nell’interno, nella
gloriosa magione, dove la povera anima mia sempre fisso teneva il suo sguardo,
aspirando e sospirando con infuocati sospiri al possesso di quella beata patria
da dove, di tempo in tempo, vedevo cose molto meravigliose e belle.
Una volta, dall’occhio di mezzo, mi si fece vedere il mio Dio tutto
raggiante di luce, che veramente mi rapì il cuore, tanta era la sua bellezza,
che non ho termini di poterlo spiegare.A questa vista si accrebbe a dismisura
il mio amore verso il mio Dio, gli affetti dell’anima non potevo più contenere,
per la cognizione che mi veniva comunicata dalla divina grazia. Il veemente
desiderio di possederlo, formava un dolce ma penoso martirio nell’anima mia,
che ogni poco credeva di morire. Per abbreviare lo scritto non dico di più.
|