2. Sopra un altro monte molto più elevato
Secondo
cartolare dell’anno 1824.
Il dì 29 giugno, festa dei gloriosi santi apostoli Pietro e Paolo, dopo la
santissima Comunione, mi trattenni in orazioni per lo spazio di tre ore e più,
senza distinguere, senza capire la propria sensazione, mentre Dio, per sua
bontà, aveva come sottratto il mio spirito dal corpo, ovvero sollevato fosse il
mio spirito sopra i propri sensi.
In questo tempo il Signore cambiò situazione alla povera anima mia, ma
prima di fare questa divina operazione, molti furono i lumi interni che si
degnò compartirmi di propria cognizione di me stessa, compartendomi cognizioni
ed intelligenza molto alta per conoscere l’ineffabile suo amore.
Rapita l’anima da questa divina cognizione, si inabissò nel proprio suo
nulla, umiliandosi profondamente, confessando l’alta bontà di questo grande ed
incomprensibile Dio onnipotente, e con ogni giustizia inabissando me stessa nel
profondo del mio nulla. Quando, per mezzo di questa divina illustrazione, ero
così profondata ed annientata, il mio Dio si degnò manifestarsi alla povera
anima mia, ed ecco il fatto come seguì. Stava l’anima in quell’anzidetto
recinto sopra quel monte dove Dio l’aveva collocata, come si è già detto nei
passati fogli del primo cartolare del 1824.
In questo giorno piacque al mio Dio di condurmi sopra un altro monte, molto
più elevato di quello di prima. Il mio spirito si trovava in quell’anzidetto
monte, dentro a quel recinto bene muragliato ed impenetrabile. L’anima mia,
dopo la santa Comunione, si era dolcemente sopita in Dio, dopo le anzidette
cognizioni. Come in soave sonno riposavo nell’infinita bontà di Dio, quando, ad
un tratto, fu destata l’anima da un armonico canto di dolcezza e di soavità
ripieno. Il rimbombo dell’amabile voce in quel solitario luogo lo rendeva un
vero paradiso, mi desta l’anima e fissa lo sguardo e vede aperta la porta del
surriferito recinto, e con sommo suo stupore vede l’agnello immacolato. Vedo il
mio Gesù, che con l’armonica sua voce invita l’anima a sortire da quel luogo ed
andare presso di lui. L’anima si arresta prima di accettare l’invito, e con
umile preghiera al suo Signore ricorre, per timore di essere ingannata, ma
l’agnello divino bene si fa conoscere dall’anima, per quello che egli è.
Assicurata dal vero, prontamente obbedisce, sorte dal recinto e se ne va presso
al divino agnello, il benignissimo Signore avverte l’anima di porre il suo
piede nelle sue orme divine, altrimenti, le dice, che non potrà salire sopra
quell’altissimo monte.
L’anima intimorita da questa istruzione divina, con somma diligenza,
attenta badava di porre il suo piede sopra le orme di quel puro ed immacolato
agnello, che scintillava fiamme della più pura carità, e inebriava l’anima del
santo e divino amore. In questa guisa, camminando mi trovai, senza avvedermi
del disastroso viaggio, sopra quell’altissimo monte. Arrivata che fu l’anima
alla sommità di quello, sopraffatta da interna dolcezza, ebria di santo amore,
si riposò in quella benedetta terra del santo monte, che può chiamarsi vera
abitazione di Dio.
Non posso al certo spiegare la bellezza, l’amenità, la soavità di questo
benedetto monte. L’anima dunque, sopraffatta da un tanto bene inarrabile ed
incomprensibile, dolcemente si riposò, e il divino agnello, compiacendosi di
avere trasportata la povera anima mia tanto oltre, dolcemente nel seno
dell’anima, graziosamente anch’esso si addormentò. Oh dolce riposo, che
trasformò l’anima nel suo Signore, io non ho termini, io non ho lena di potermi
spiegare; i santi affetti, l’ardente amore strettamente mi univano, mi
congiungevano al mio divino Signore. Altro non dico, perché non so ridire, che
cose grandi siano questi favori divini, che Dio comparte alle anime per sua
infinita bontà.
Il dì 6 luglio 1824, il divino agnello pur si degnò farsi vedere, ma per
mettere tutto in chiaro, alla meglio che mi sarà possibile, per mezzo della
divina grazia, descriverò la situazione di questo benedetto monte. Era questo
monte altissimo, amenissimo e di soavità ripieno, ai piedi di questo monte vi
era un mare placidissimo, le dolcissime sue acque cristalline, spumeggianti di
splendore, da dove si vedeva in prospettiva la beata magione. Benché quel beato
soggiorno io lo vedevo in distanza, sotto la similitudine di un magnificentissimo
fabbricato triangolare, come ho di già detto nel primo cartolare del 1824.
Conosco in vero la mia ignoranza, non avendo termini sufficienti di spiegare la
bellezza, la vastità, la magnificenza di queste spirituali intelligenze, o
siano divine rappresentanze intellettuali, che il Signore si degna mostrarmi,
nel più segreto ed intimo dell’anima mia. Ed è ben vero che non si possono alle
cose sensibili paragonare, per quanto grandi e belle siano le cose che vediamo
in questa terra mortale, c’è una grande diversità dalle celesti alle terrestri,
dalle cose spirituali alle temporali; mi pare al certo che lo scrivere i favori
e le grazie che Dio comparte alle anime, per sua infinita bontà, altro non sia
che segnare al muro, con un nero carbone, la bellezza e lo splendore del sole.
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