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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 76 – L’ANIMA MIA RESTÒ PURIFICATA
      • 3. Voglio farmi santa
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3. Voglio farmi santa

 

Riprendo il filo del racconto. Il divino agnello pur si degnò farsi vedere dalla povera anima mia. Oh qual consolazione provò il mio cuore! Di santi affetti fu ricolma la povera anima, alla vista del suo divino Signore! Dopo dolci e varie espressioni, il divino agnello si compiacque nel seno dell’anima di riposare, ed intanto che l’anima dolcemente dormiva, unita all’amato suo bene, ad un sol cenno dell’agnello divino, le dolci acque del placido mare gonfiar si videro, ed innalzare fin sopra al monte, per così bagnare ed immergere l’anima, che unita stava e riposava con il suo agnello divino. Si scosse l’anima alla dolce immersione, e più strettamente al suo bene si unì. Le preziose acque di questo mare divino, più bella e più pura resero l’anima, e più accettabile divenne all’amato suo bene. Di più spiegarmi non mi conviene. L’intenda chi intende, quanto grande sia l’amore immenso di un Dio creatore, di un Dio redentore. Non so spiegarmi, non so parlare, perdono ti chiedo, o Dio immortale, dei rozzi termini che mi conviene usare, la mia ignoranza non sa encomiare la tua alta bontà. Deh, padre mio, rivolta a lei perdono chiedo a vostra paternità, se non so esprimere, se non so dire l’amore grande del mio Gesù.

Questi divini favori, che di tratto in tratto mi comunicava il mio Dio, per pura sua bontà, rendevano viepiù illuminata l’anima mia a conoscere qual bene sia Dio, e quanto mai sono grandi le sue divine perfezioni; a questo chiaro lume, l’anima si inabissava nel proprio suo nulla, riconoscendosi immeritevolissima di questi divini favori. Riconoscendo i propri miei peccati, difetti e mancanze, con tanta chiarezza, che, sopraffatta da santo orrore, odiavo me stessa per le gravi offese fatte al mio buon Dio, piangevo amaramente, e con tutto il fervore possibile domandavo in grazia al Signore, che mi avesse liberata da tutti questi difetti e mancanze, che in me conoscevo, per mezzo della sua divina grazia.

Concepii una certa speranza, di ottenere questa grazia in virtù dei meriti del mio salvatore Gesù, al giusto riflesso che me lo aveva meritato con tutto lo sborso del suo preziosissimo sangue. Dicevo dunque al mio Dio con santa fiducia: «Non mi spaventano i miei peccati, le mie mancanze e difetti. Io voglio farmi santa, Gesù mio. L’opera ha da essere tutta vostra. Sì, voglio farmi santa a vostra maggior gloria, e non ad altro fine vi chiedo questa grazia».

La suddetta preghiera era fervente, umile, frequente, insistente e semplice, piena di fiducia, sperando, per gli infiniti meriti di Gesù Cristo, per certo di ottenere la suddetta grazia, di maniera che tutte le mattine, nell’accostarmi a ricevere la santissima Comunione, speravo di divenir santa, con il prodigioso contatto dell’eucaristico sacramento. Con umili e ferventi proteste dicevo al mio Gesù sacramentato: «Il fine per cui vi ricevo, Gesù mio, voi lo sapete. Fate, mio Dio, in questo momento, questo miracolo: Santificate la povera anima mia peccatrice», e con santa fiducia ne speravo assolutamente la grazia, e benché nella giornata cadessi in molti difetti, pur non mi perdevo di coraggio, dicevo fra me stessa: se non sono divenuta santa questa mattina, spero certo che domani mattina otterrò da voi la grazia, Gesù mio.

 




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