3. Voglio farmi santa
Riprendo
il filo del racconto. Il
divino agnello pur si degnò farsi vedere dalla povera anima mia. Oh qual
consolazione provò il mio cuore! Di santi affetti fu ricolma la povera anima,
alla vista del suo divino Signore! Dopo dolci e varie espressioni, il divino
agnello si compiacque nel seno dell’anima di riposare, ed intanto che l’anima
dolcemente dormiva, unita all’amato suo bene, ad un sol cenno dell’agnello
divino, le dolci acque del placido mare gonfiar si videro, ed innalzare fin
sopra al monte, per così bagnare ed immergere l’anima, che unita stava e
riposava con il suo agnello divino. Si scosse l’anima alla dolce immersione, e
più strettamente al suo bene si unì. Le preziose acque di questo mare divino,
più bella e più pura resero l’anima, e più accettabile divenne all’amato suo
bene. Di più spiegarmi non mi conviene. L’intenda chi intende, quanto grande
sia l’amore immenso di un Dio creatore, di un Dio redentore. Non so spiegarmi,
non so parlare, perdono ti chiedo, o Dio immortale, dei rozzi termini che mi
conviene usare, la mia ignoranza non sa encomiare la tua alta bontà. Deh, padre
mio, rivolta a lei perdono chiedo a vostra paternità, se non so esprimere, se
non so dire l’amore grande del mio Gesù.
Questi divini favori, che di tratto in tratto mi comunicava il mio Dio, per
pura sua bontà, rendevano viepiù illuminata l’anima mia a conoscere qual bene
sia Dio, e quanto mai sono grandi le sue divine perfezioni; a questo chiaro
lume, l’anima si inabissava nel proprio suo nulla, riconoscendosi
immeritevolissima di questi divini favori. Riconoscendo i propri miei peccati,
difetti e mancanze, con tanta chiarezza, che, sopraffatta da santo orrore,
odiavo me stessa per le gravi offese fatte al mio buon Dio, piangevo
amaramente, e con tutto il fervore possibile domandavo in grazia al Signore,
che mi avesse liberata da tutti questi difetti e mancanze, che in me conoscevo,
per mezzo della sua divina grazia.
Concepii una certa speranza, di ottenere questa grazia in virtù dei meriti
del mio salvatore Gesù, al giusto riflesso che me lo aveva meritato con tutto
lo sborso del suo preziosissimo sangue. Dicevo dunque al mio Dio con santa
fiducia: «Non mi spaventano i miei peccati, le mie mancanze e difetti. Io
voglio farmi santa, Gesù mio. L’opera ha da essere tutta vostra. Sì, voglio
farmi santa a vostra maggior gloria, e non ad altro fine vi chiedo questa
grazia».
La suddetta preghiera era fervente, umile, frequente, insistente e
semplice, piena di fiducia, sperando, per gli infiniti meriti di Gesù Cristo,
per certo di ottenere la suddetta grazia, di maniera che tutte le mattine, nell’accostarmi
a ricevere la santissima Comunione, speravo di divenir santa, con il prodigioso
contatto dell’eucaristico sacramento. Con umili e ferventi proteste dicevo al
mio Gesù sacramentato: «Il fine per cui vi ricevo, Gesù mio, voi lo sapete.
Fate, mio Dio, in questo momento, questo miracolo: Santificate la povera anima
mia peccatrice», e con santa fiducia ne speravo assolutamente la grazia, e
benché nella giornata cadessi in molti difetti, pur non mi perdevo di coraggio,
dicevo fra me stessa: se non sono divenuta santa questa mattina, spero certo
che domani mattina otterrò da voi la grazia, Gesù mio.
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