Mossasi a compassione, la Madre di
misericordia, di vedermi tanto annichilata, e priva di coraggio, per compiacere
l’agnello divino, in persona venne l’amorosa Signora, piena di gloria e di
maestà e di bellezza, a farmi coraggio, e lei stessa si degnò accompagnarmi
vicino all’augusto trono dell’agnello divino. Quando fummo in una certa
distanza, tre santi Angeli sollecitamente portarono tre ricchi sgabelli, in uno
dei quali si adagiò la grande regina Maria santissima, nell’altro sgabello
sedette il grande precursore Giovanni Battista, riccamente vestito e pieno di
splendore, il quale, prima di adagiarsi sopra lo sgabello, fece tre profondi
inchini. Io stavo in piedi, accanto a Maria santissima.Il suo splendore
ricopriva la mia confusione.Io ero fuori di me stessa, nel vedere cose così
grandi e così meravigliose, ed insieme così misteriose, che io non sapevo come
andassero a terminare. Nel tempo che stavo così concentratata e piena di
ammirazione, sopraffatta da santo timore, la Vergine santissima mi obbligò di
adagiarmi sopra lo sgabello, seduta che fui anche io accanto alla divina Madre,
il santo precursore sciolse la sua profetica lingua, ed encomiò il divino
agnello e la sua Vergine Madre. Indirizzò il suo discorso alla povera anima
mia, dicendomi parole di vita eterna; alle parole di questo santo glorioso,
tutta mi disciolsi in lacrime d’amore e di compunzione. Terminato il suo
discorso, ci alzammo tutti e tre in piedi, e in questo tempo vedo che un Angelo
delle prime gerarchie, genuflesso ai piedi di Maria santissima, le presentò un
ricchissimo calice, adorno di preziosissime gemme. Era questo calice coperto
con la sua patena. La grande madre di Dio, prese il calice nelle sue santissime
mani, il messaggero celeste, con profondo rispetto e riverenza, con un
candidissimo panno levò dal calice la preziosa patena, e la divina Signora
dette all’anima mia a bere di quel prezioso liquore. Oh balsamo! oh liquore
divino di soavità ripieno! Quali mirabili effetti in quei preziosi momenti mi
facesti provare! Quale trasmutazione facesti tu dell’anima mia! Qual fiamma di
carità accendesti nel povero mio cuore! Quale illustrazione al mio intelletto!
Qual lume alla mia mente! E chi potrà mai ridirne i prodigiosi effetti? Io no
di certo. Sicché taccio, senza passare più oltre, mentre mi pare, che certi
favori di Dio siano, per l’infinita bontà di Dio, compartiti alle anime, senza
termini, senza misura, senza limiti. E chi ardirà di parlarne! Mi permetta,
dunque, vostra paternità reverendissima, che io ponga fine a questo mio
racconto gaudioso, e mi dia licenza di narrare come da questo gaudio passai a
soffrire le pene più afflittive di spirito, di aridità, di oscurità, di
foltissime tenebre, che la povera anima mia si ridusse in uno stato
deplorabile. Sono certa che non recherà meraviglia a vostra paternità
reverendissima questo mio racconto così luttuoso, benché al vivo e io non lo
posso manifestare di qual tempra siano queste sorte di patimenti, in cui Dio
pone le anime dopo di averle favorite; ma vostra reverenza, come perito di
questa scienza, bene intende il tutto, benché io non mi sappia, per la mia
ignoranza, spiegare. A me pare così: quanto più Dio si degna sollevare le anime
con i suoi divini favori, tanto più gli dà a patire, sprofondandole nel cupo
abisso del patire. Questo basti per dire tutto.
In questi gravissimi patimenti passò la povera anima mia il mese di agosto,
settembre, ottobre, novembre e dicembre 1824; ma devo dire però, a gloria del
medesimo Dio, che in questi quattro mesi, non mancò l’amorosissimo Signore, di
tratto in tratto, favorire la povera anima mia, e così risorgerla dalle agonie
mortali in cui si trovava; ma questi divini favori erano di poca durata, e
formati tanto nell’intimo dell’anima, che appena ne aveva la cognizione, che si
dileguavano dalla mia mente e tornavo nel mio doloroso conflitto. Qualcuno che
ne ricordo lo scriverò, avendo trascurato lo scrivere, per i gravi patimenti
che mi hanno ridotta come insensata.
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