Nel mese di dicembre 1824, proseguì
l’anima a soffrire il suo martirio interno di abbandoni penosissimi, di
desolazioni crudissime, di tenebre densissime.Solo provavo di tratto in tratto
qualche interno soccorso, ma tanto intimo che l’anima appena lo poté
distinguere.
Mentre mi pare che Dio stia facendo nell’anima mia un’opera, la quale non
voglia manifestarla all’anima, sicché l’anima sente in sé l’opera del Signore,
ma ne vive digiuna affatto.
L’opera per se stessa è molto dolorosa per lo spirito e per il corpo.Ciò
nonostante, Dio si degna, per sua infinita bontà, di comunicare all’anima tanta
fortezza, tanta compiacenza di adempire, di compiacere la sua santissima
volontà, che lo stesso patire mi si converte in un gaudio di dolcezza; mentre
le pene che soffro, interne ed esterne, non le cederei per tutto l’oro del
mondo.
Conosco che questa è una sciocca comparanza: dico che le tengo tanto care,
perché in queste pene trovo tutto il mio Dio. Dunque, felici pene, benedette
pene, che mi unite al mio divino Signore!
L’opera che sta facendo Dio nella povera anima mia, se non sbaglio, mi pare
che sia di mio grande profitto. Mentre Dio mi va spogliando di tutte le cose
sensibili e intelligibili, immaginarie e ideabili, per lo ché in tutte le mie
operazioni, esterne ed interne, mi pare di vivere secondo il divino
beneplacito, non ricercando io alcun proprio utile, gusto e onore, ma l’unico
compiacimento, interesse e gloria di Dio, al quale mi sono interamente tutta
donata e consacrata, quindi mi pare che la bontà del Signore voglia ammettere
la povera anima al passaggio di una vita deiforme.
Tutto soggetto con umile rispetto al savio consiglio di vostra paternità
reverendissima, mentre non so se questo passaggio convenga ad un’anima tanto
scellerata, tanto peccatrice come sono io.
Prego il mio Gesù crocifisso a dar lume a vostra riverenza, acciò possa
conoscere e chiaramente distinguere se la povera anima mia vivesse mai
ingannata da un falso spirito. Il tutto rimetto al dotto suo parere, dal quale
dipende, per obbedienza dovutale, la mia quiete di spirito.
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