La seconda domenica dopo Pasqua tornò in Roma
il mio direttore, ringraziai il buon padre Ferdinando della carità usatami, e
piena di filiale amore mi congedai da lui; ma il mio cuore aveva ricevuto dal
suddetto padre una particolare impressione, che per essere opera di Dio non era
in mio potere poterlo scancellare dal mio cuore. Il mio spirito era sempre a
lui rivolto, quando potevo ottenere dal mio direttore la licenza di andarlo a
trovare, il mio spirito era sopraffatto da interna dolcezza, e sentiva che
forza superiore a lui mi conduceva.
Tra le molte grazie che Dio mi compartì in questo tempo, una delle maggiori
fu il fare i santi esercizi al Santissimo Bambino Gesù. Grazia veramente
grande, per le grandi difficoltà che dovetti incontrre per ottenere dai parenti
la licenza. Ma, come a Dio piacque, mi fu dai suddetti accordata la licenza. Il
giorno dunque dell’Ascensione del Signore del 1807 mi portai al venerabile
monastero del Santissimo Bambino Gesù a fare i santi esercizi. E come potrò io
manifestare tutte le grazie, le misericordie, i favori che mi compartì il
Signore in quei giorni di ritiro?
Ma per non mancare all’obbedienza, con l’aiuto di Dio qualche cosa dirò. La
vigilia dell’Ascensione del Signore, dopo la santa Comunione fui sollevata da
alta contemplazione, dove il Signore mi fece intendere che voleva sollevare
l’anima mia a un grado molto alto di perfezione, e fin da quel momento mi fece
passare a maggior grado. In questi termini fu invitata la povera anima mia dal
suo diletto: «Sorgi», mi disse, «sorgi, diletta figlia, sciogli dal collo tuo
le catene, non è più tempo di schiavitù!».
A queste parole l’anima mia fu sciolta da certi naturali legami che la
nostra misera umanità va soggetta, e che le anime che attendono alla perfezione
ne sono sciolte con la lunghezza del tempo, e con la pratica delle sode virtù;
ma il Signore si degnò usare verso di me questo tratto di sua infinita
misericordia, e mi donò per grazia quello che in nessun conto mi aspettava per
merito.
Ecco come la povera anima ascese ad un grado di maggior perfezione, senza
alcun merito proprio, ma solo per parte di particolar predilezione di quel Dio
che mi creò per amarmi, nonostante la mia ingratitudine.
Al momento sperimentai i buoni effetti della grazia, il mio intelletto fu
ripieno di sapienza, per mezzo di questo dono il mio spirito si sollevava a
Dio, e da Dio ne riportava nuove grazie.
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