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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE PRIMA – PRIME ESPERIENZE MISTICHE (Dal 1807 al 1809)
    • 4 – CONFERMATA IN GRAZIA
      • 8. Una preziosa corona
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8. Una preziosa corona

 

Ho dimenticato di scrivere un fatto che mi seguì il giorno 19 nel mese di marzo del 1807, nel tempo che era fuori il mio direttore e che in mancanza del suddetto mi assisteva il reverendo padre Ferdinando, come si è detto nei passati fogli.

Il giorno che ricorreva la festa del glorioso san Giuseppe, nella santa Comunione, ero tutta intenta a piangere i miei peccati per trovarmi colpevole di impazienza, improvvisamente fu sopito il mio spirito e sopraffatto da intima quiete. Mi parve in questo tempo di essere condotta da mano invisivile sopra di un monte, dove trovai molte anime che formavano d’intorno all’umanità santissima di Gesù Cristo nobile corona. Si arrestò a questa vista il mio povero spirito, riconoscendosi indegno di inoltrarsi, per riconoscere in quelle anime che quivi erano molta santità e perfezione.

Piena di lacrime mi rivolsi a loro, acciò si fossero degnate ottenermi dall’amabile Signore il perdono dei miei peccati, ed intanto, umiliandomi fino al profondo del mio nulla, mi disfacevo in lacrime di contrizione, desideravo ottenere per grazia di esser serva di quelle anime che quivi erano.

Oh, quanto mai erano belle, le vedevo tutte vestite di bianco, trattar familiarmente con Gesù Cristo. Oh, qual consolazione, dicevo tra me, sarebbe poter servire queste anime tanto sante! Ma una indegna peccatrice come sono io non merita tanto onore». Rivolta all’amato Signore, piena di fiducia, dissi: «Gesù mio, abbiate pietà di me, misera peccatrice!».

Ed intanto, discostandomi da quel sacro monte, per rispetto e riverenza, piangendo la mia grande ingratitudine, quando l’amoroso Gesù, pieno di santo affetto, a me rivolto mi disse: «Mia diletta figlia, ti arresta», e, comandato a quelle anime che attorno gli facevano corona, che liberamente mi facessero passare, a me rivolto soggiunse: «Amica mia, appressati a me senza timore. Voglio coronare il tuo capo di pregiata corona».

A questo invito qual contrasto provò il mio cuore di santi affetti, la propria cognizione non mi permetteva di accettare liberamente gli amorosi e replicati inviti del mio Signore. «E come ardirò io», dicevo, «avvicinarmi tanto alla stessa santità? Queste anime giustamente mi rimprovereranno il mio ardire! Ma come potrò resistere a invito tanto parziale che mi fa il mio Signore?».

Ma intanto l’amato Signore, osservando il santo contrasto che facevano i diversi affetti nel mio cuore, si compiaceva di vedermi per amor suo così patire, tornò nuovamente ad invitarmi con maggior efficacia, l’amore di compiacerlo superò il timore di disonorarlo; mi avvicino a lui qual figlia amante al caro padre suo, mi prostro ai suoi piedi, piena di; rispetto e riverenza dicendo: «Domine, quid me vis facere? Fiat voluntas tua!».

Appena ebbi proferito le suddette parole, si degnò con le sue preziose mani calcare sopra il mio capo preziosa corona, poi fece mettere in bell’ordine le suddette anime, mi comandò di sedere ad una bella sedia che quivi era, e comandò alle suddette anime che mi avessero prestato obbedienza.

Queste, piene di rispetto, si degnarono soggettarsi a me, due per due vennero a prestarmi ossequiosa obbedienza; per non più dilungarmi non sto qui a ridire quale e quanta fosse l’umiliazione che cagionò al mio povero spirito questo rispettoso ossequio. Fu tale e tanto il lume di propria cognizione che Dio donò all’anima mia, che credetti veramente di restare annientata nel proprio nulla, un profluvio di lacrime soffocavano il mio cuore, e piena di rossore e confusione nel vedermi d’intorno animecare, che non alzavo neppure gli occhi per rimirarle, conoscendomi affatto indegna di loro.

 




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