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Beata Elisabetta Canori Mora Diario IntraText CT - Lettura del testo |
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4. Poveri e infermi
Molto particolare fu la carità che mi donò il pietoso iddio verso i miei prossimi, mentre per sovvenirli non aveva alcun riguardo, ma a costo di ogni mia fatica e incomodo procuravo di sovvenirli, con la licenza della suocera, prendevo delle grascie che erano in casa, di ogni genere come sarebbe di vino, di carbone, di porcina, di latticini, e tutto davo, con il permesso della suddetta mia suocera, ai poveri. Li visitavo infermi ai pubblici ospedali, facendo loro i letti, pulendo le loro teste con pettinarle, votando i loro vasi immondi, e, per mortificarmi, più volte appressavo a quelli la bocca, con somma mia ripugnanza e conati di stomaco. Ma lo spirito dava coraggio al corpo, nel patire, gli diceva: «Mira, deh, mira il Santo Monte: fino alla sommità di quello ascenderai, e ancor tu parteciperai di quel Bene immortale. Patisci con pazienza, patisci allegramente, patisci con azione di grazie. Dio sarà la nostra mercede». Avvalorata da viva fiducia, prendevo più lena a patire, sicché senza alcun riguardo mi esercitavo in certe mortificazioni ripugnanti alla natura, come sarebbe lambire gli sputi altrui sul suolo, appressare la bocca ai vasi immondi, con somma mia ripugnanza e con conati veementi di stomaco.
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