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Beata Elisabetta Canori Mora Diario IntraText CT - Lettura del testo |
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4. Piena di Dio
Il primo di maggio 1814 così racconta di sé la povera Giovanna Felice. Dopo ricevuta la santa Comunione, fui sorpresa da interna quiete, da tocco interno fu il mio spirito non solo invitato, ma obbligato dal mio Dio ad inoltrarmi nella sua immensità. Qual cognizioni conobbi il gran bene dell’uomo per queta divina immensità, un sì gran Dio sta sempre presente a noi, i quali siamo non solo vicini a sì amabile immensa bellezza, ma siamo abbracciati da lui, e tutti penetrati. Fui come ingolfata nell’immensità di Dio, mi trovai tutta piena di Dio, conobbi che dio assiste a tutto, osservando quanto si fa, dando le forze perché si faccia, concorrendo e coadiuvando a quanto si opera. Dio sta sempre congiunto ai miei occhi, per farmi vedere, alle mie orecchie per farmi udire, alla mia mente per farmi pensare, al mio cuore per farmi amare. O somma felicità mia, o amore infinito! mi sento dare la felice nova che mai, mai mi sarei divisa da lui, mentre io per necessità a lui per volontà siamo intimamente uniti e congiunti insieme.
Il dì 3 maggio 1814 nel fare l’orazione mentale, la mattina subito levata, così la povera Giovanna Felice.Mi pongo alla presenza di dio, e al momento mi sento sopraffare dallo Spirito del Signore. Mi trovo tutta in Dio, quando da particolare cognizione mi si siede a conoscere quali pene, quali ambascie abbia provato il Cuore santissimo di Gesù per le offese che si sarebbero commesse dai suoi eletti. Eccomi dunque immersa in questo mare vastissimo di amore e di amarezza! Andava la povera anima mia immergendosi in queste acque amorose e insieme dolorose; conoscevo gli affanni, le pene di questo afflitto cuore, e io mi sentivo morire dalla pena e dall’afflizione. L’amore doloros faceva mia la pena sua; mi dimostrava la compiacenza che prendeva il suo amoroso cuore nel patire per amore, e questa compiacenzqa rendeva contento il mio pover cuore, e l’amore faceva mia la compiacenza sua. Quando in questa vastità di affetti mi sono profondata, somma attenzione ho usato per rintracciare gli affanni, le pene che la mia ingratitudine ha cagionato all’amoroso cuore di Gesù. Con la grazia del Signore, li ho potuti rintracciare. Oh, qual dolore, quale afflizione cagionò alla povera anima mia la cognizione di tanto mal fatto, contro un Dio tanto buono! mi pareva dalla pena di agonizzare. Mi si rende impossibile manifestare di qual tempra fosse questa afflizione, mentre dalla grawia mi veniva infusa tanta e sì tremenda apprensione. In qualche maniera si doveva rassomigliare a quella pena che soffrì il buon Gesù nell’Orto.
Dopo qualche tempo raccolsi, alla meglio che mi fu possibile, le forze, per portarmi in chiesa per fare la santa Comunione. Mi pongo alla balaustra in ginocchioni; al momento dalla gravosa pena passo a godere la quiete più intima che mai possa immaginarsi. In questa quiete il mio Dio mi dà a vedere quale parte occupa la povera anima mia del suo mistico corpo; mi fece conoscere che occupava la sua mano destra occupava il suo occhio destro, occupava il suo Cuore. Mi fece intendere che amava la povera anima mia quanto si può amare membri sì cari, come sono la mano, l’occhio, il cuore, mi fece intendere l’intima unione che passa con la povera anima mia. A simili cognizioni qual mi restassi, non lo posso spiegare, veramente in qualche maniera posso dire di avere sperimentato quegli effetti che si possono sperimentare da membri sì cari, congiunti a corpo nobilissimo, santissimo.
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