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Beata Elisabetta Canori Mora Diario IntraText CT - Lettura del testo |
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3. Unione di due cuori
Al dì 4 giugno la povera Giovanna Felice nella santa Comunione così rcconta. Al riflesso della misericordia che Dio ha usato verso di me, si confondeva il mio spirito, e struggevasi di amore in lacrime, nel vedermi tanto ingrata verso il mio amoroso Signore; giacché sono 10 anni oggi, vigilia della Santissima Trinità che mi consacrai al mio Signore, con voto di castità, come si disse al suo rispettivo luogo. Ero tutta intenta a chiedere perdono al mio Signore, chiedevo in grazia di morire, o che degnato si fosse darmi la corrispondenza, vedo apparire i santi patriarchi Felice e Giovanni de Matha, questi gloriosi santi mi facevano coraggio a sperare nella infinita bontà di Dio. M’invitavano ad inoltrarmi veso il sommo Dio, ma un santo timore m’impediva di andare liberamente, quando si è veduta apparire la gran Madre di Dio, tutta amore mi animava a sperare negli alti meriti di Gesù Cristo, e per special favore mi dava a tenere il lembo del suo prezioso manto. Accompagnata da questi tre incliti personaggi, mi sono presentata al sommo Dio, prostrata mi sono umile e riverente all’augusto suo trono, piena di timore non ardivo parlare. I santi patriarchi hanno esposto i miei desideri, con somma compiacenza sono stati ricevuti dal mio Signore, in segno di gratitudine m’invitava ad approssimarmi verso di lui, m’invitava a scrivere con il suo prezioso sangue, che spruzzava dal suo purissimo cuore, i miei sentimenti, il mio spirito si è riempito di santo orrore, umilmente ho ricusato di fare ciò; mi ha poi dato a vedere come il fuoco della sua carità fa incendiare l’amoroso suo cuore. Nel vedere cosa così prodigiosa, restavo sopraffatta dall’ammirazione e rapita dall’amore, quando torani in me stessa pensai che non potevo senza licenza del mio padre, non potevo scrivere, ne volli una precisa dichiarazione da vostra paternità, per potermi regolare in altra occasione. Mi porto alla mia casa, senza essere molto presente a me stessa, mi pongo a lavorare, dopo breve tempo mi cade il lavoro dalle mani; tornò a sopirsi lo spirito, intesi al momento inondarmi di dolcezza il cuore, di questa interna dolcezza ne godeva anche il corpo; quando mi trovo nella suddetta situazione: «Vieni», sentivo dire, «vieni, o bella figlia di Sion, vieni a ricevere gli alti favori di un Dio amante». A questi amorosi inviti si è inoltrata la povera anima mia, tutta amore tutta carità verso l’amante Signore. Una fiducia filiale comunicava al mio cuore una purità, una semplicità, una umiltà, tanto bene ordinata, che neppure io che la possedevo ne conoscevo la grandezza. «Mio Dio», gli dicevo, «non vuole il mio padre che tanto mi ardisca scrivere con il vostro sangue i miei sentimenti, mi ha detto però, che vi preghi, acciò vi degnate di scrivere nel mio cuore l’obblgo che mi corre di amarvi». A queste parole il mio Signore si degnò fare una impressione sopra il suo cuore e sopra il mio, poi unì i due cuori, e in questa unione si cambiarono le impressioni, la sua s’impresse nel mio, e la mia s’impresse nel suo. A queste due impressioni, una di amore e l’altra di unione, quale restassi non so spiegarlo, mi mancò quasi l’uso di ragione. Passai tutto il resto della giornata in una continua comunicazione. Il mio Dio per ben tre volte mi degnò di unirmi a lui intimamte. La prima fu nella santa Comunione, come già dissi, la seconda fu due ore dopo il mezzogiorno, dopo aver ricevuto questo gran bene, raccomandai caldamente al mio Signore tutte le persone che mi somministrano qualche carità, si degnò esaudire le mie povere preghiere. Benedì con special benedizione tutti i miei benefattori, e mi promise ancora che tutti quelli che mi avessero aiutato sarebbero benedetti dal suo celeste Padre con l’eterna benedizione.
Tre ore e mezza dopo il mezzogiorno si andò a pranzo. Usai cibarmi per abito, senza perdere la viva presenza di Dio. Buono per me, che subito dopo il pranzo, tutti se ne andarono in giardino, e mi lasciarono sola, in questo tempo fui nuovamente assorbita dal mio Signore, come assorbita viene la nebbia dai raggi del sole; questa comunicazione così violenta, mise in convulsioni il corpo, dopo essersi dibattuto, privo affatto di senso restò, per pura misericordia di Dio, nessuno si avvide di quanto era seguito in me, poca e niente forza restò al mio corpo. Ebbi molta pena per andare in chiesa alla novena della SS. Trinità. Nel tempo che si faceva la novena, fui sorpresa da profondo sonno, ma il mio spirito era vigilante, e in questo tempo godeva un bene che non so spiegare, un interno fuoco mi pareva che m’incendiasse, mi sentivo propriamente bruciare le viscere, mi pareva mi cagionasse la morte, tanto era l’ardore, la vampa della carità che mi venne somministrata dalla grazia.
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