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Beata Elisabetta Canori Mora Diario IntraText CT - Lettura del testo |
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3. Nel tabernacolo del sommo Re
Fui dunque condotta in una città bellissima, dov’era collocato il venerabilissimo tabernacolo dell’eterno Dio. Che magnificenze, che ricchezze, che pompa, che gala, non è veramente spiegabile! Era questa rispettabilissima città abitata dagli Angeli e non dagli uomini. Erano questi nobilissimi spiriti tutti intenti a custodire l’augusto tabernacolo del sommo Re del cielo e della terra. Fui dal divino Spirito introdotta in questa città, in una maniera tanto particolare, ma io non lo so dire; prima di introdurmi in questa città, il divino Spirito mi degnò di tre preziosi doni, perché i custodi di quest’alma città mi dessero libero ingresso. Il celestiale amore pose nel mio cuore i tre preziosi doni, a guisa di acuti dardi li trapassò nel cuore. Oh come in quel momento colpito fu il mio cuore dal suo divino amore! Da dolce svenimento fu sopraffatto il cuore, e piena di celestiale amore l’anima mia restò. Di tanta bellezza erano i tre preziosi doni, che non si possono ugualiare né all’oro finissimo, né alle preziose gemme. Cosa così sorprendente non si vide giammai. Il divino Spirito mi mostrò ai suoi servi qual trionfo del suo celestiale amore. Quei beati spiriti restarono attoniti, estatici; miravano i tre preziosi doni, e pieni di meraviglia lodavano al sommo Dio l’alta bontà. Libero mi diedero il passo, e pieni di sommissione mi vollero accompagnare al tabernacolo augusto del sovrano re. Mio Dio, dove m’inoltro? cosa mai dirò? quale ardire è il mio: paragonar cose che non hanno paragone? Mio Dio, dunque tacerò? Santa obbedienza come potrò soddisfarti? di quali parole mi servirò? se sono tanto ignorante e rozza, ma a magnificenza tanto straordinaria mi pare che ogni eloquente dottore non sia sufficiente per manifestare con giusti termini gli eccessi dell’eterno suo amore. Ma per non mancare all’obbedienza, rozzamente scriverò almeno quanto posso ridire; il resto lo lascio alla dotta esperienza di vostra paternità reverendissima. Fui dunque con grandissima pompa accompagnata dai felici abitatori di questa città all’augusto tabernacolo del sommo Re. Erano tutti in gran festa per il mio arrivo. Molti si compiacquero di accompagnarmi, molti altri adornavano la strada che dovevo passare, altri spargevano la strada di vaghissimi fiori, altri cantavano inni di gloria, altri mi procedevano avanti, per recarne agli altri la felice nuova. Con languido paragone mi spiegherò, ma mi protesto però che è molto dissimile da quello che nel mio spirito fu operato dalla grazia dell’altissimo Dio. La povera anima mia fu corteggiata molto più di quello che si corteggia una nobile donzella che sia innalzata al nobilissimo matrimonio di un re potente, e che il potente sovrano attendesse ansioso l’arrivo della sua diletta sposa; e tutti i cortigiani si fanno un pregio di poterla servire e condurla al sovrano loro re. Con maggior pompa fu ricevuta la povera anima mia da quegli abitatori, che a mio parere erano sovrani spiriti, cortigiani del sommo re, custodi della sopraddetta città. Mi spiego meglio: questa da me chiamata città, non già aveva in sé né case né palazzi, né altre cose, che nel mondo sensibile formano la bellezza, la vaghezza delle città. Tutto diverso era questo fabbricato, un edificio tanto bello e magnifico che non ha pari. Questo era eretto al solo fine di custodire il magnificentissimo tabernacolo. Fui dunque condotta al luogo dov’era il reale tabernacolo. Tutti in bell’ordine erano disposti gli abitatori di questo luogo; ma tutti attoniti se ne stavano, osservando cosa fosse per fare di me l’eterno amore. Quando si vide ad un tratto aprire l’augusta porta del tabernacolo, e facilmente mi si accordò l’ingresso.
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