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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE SECONDA – LE NOZZE MISTICHE (Dal 1813 al 1819)
    • 32 – I «PECCATI» DEI SANTI
      • 5. Restò come liquefatto il mio spirito
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5. Restò come liquefatto il mio spirito

 

Il dì 25, nella santa Comunione, era veramente martirizzato il mio cuore dal gran desiderio di imitare l’amoroso Gesù. Considerando quanto mai sono dissimile da lui, piangevo amaramente la mia miseria; mi raccomandai caldamente alla divina madre, Maria santissima.

Andava ogni ora più crescendo il desiderio di vincere e superare la mia debolissima, miserabilissima natura; lo spirito si armò senza pietà contro il corpo, il corpo si contristava, e la povera anima mia pativa pene di morte, perché voleva superare la sua propria debolezza, e non poteva.

 

In questa gravissima pena mi raccomandai al mio gran padre sant’Ignazio, ricordevole delle sue parole, così presi a dire: «O santo glorioso, adesso conosco cosa mi volevate dire, quando mi diceste che per arrivare alla perfezione mi mancava ancora di vincere la carne e il sangue. Avete ragione, questo è veramente il maggior ostacolo della perfezione! Mi raccomando a voi, o gran santo: ottenetemi questa grazia!».

Dopo la suddetta preghiera, fu al mio spirito comunicato un bene soprannaturale, per mezzo del quale sperimentai un riposo molto particolare; perdetti ogni idea sensibile. In mezzo a questo perfetto riposo, mi parve di vedere l’umanità santissima di Gesù Cristo, unita alla sua divinità, che con raggio di luce, che tramandava dalla sua mano destra, percosse il mio povero cuore e fece da questo scaturire dolcissimo liquore. E, accostate le sue purissime labbra al mio povero cuore, si degnò gustare il prezioso liquore.

E chi mai potrà ridire i mirabili effetti che provò il mio cuore? Restò come tutto liquefatto il mio spirito al prodigioso contatto del suo divin Salvatore; tutta tutta l’anima mia fu liquefatta dal puro e santo suo amore: mio Dio, quanto è mai grande il vostro amore, e chi mai potrà comprenderlo? o come ardisco io mai manifestarlo? E non sono io la creatura più vile che abiti la terra? donde dunque tanto ardire? O santa obbedienza, quanta pena mi fai soffrire!

 




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