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Beata Elisabetta Canori Mora Diario IntraText CT - Lettura del testo |
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6. Chi ascolta te, ascolta me
Il dì 6 aprile 1816 nella santa Comunione mi apparve il Signore sotto la forma di nobile giovanetto. Lo vedevo accompagnato da molte schiere angeliche, che tutto amore e tutta carità veniva con sommo giubilo a stabilire nell’anima mia l’augusto suo trono. Pieno di santo affetto, diceva: «Figlia, diletta figlia, chi ascolta te ascolta me; mentre in te risiede il mio Spirito. Quelli che avranno fiducia saranno dalle tue parole consolati». A queste espressioni l’anima restò profondamente umiliata, e volgendosi al suo Dio, con molte lacrime di tenerezza: «Mio Dio», diceva, «che più non mi conoscete che sono la creatura più miserabile che abita la terra? E come potete trovare in me la vostra compiacenza, se sono tanto miserabile e peccatrice? Ah, Gesù mio, partitevi da me, ne sono troppo indegna; andate a formare il vostro trono in quelle anime che vi sono fedeli». I veraci miei sentimenti non rimossero punto il divino Signore dalle sue amorose idee, ma anzi molto più stabilmente si fermò nel mio cuore, e, manifestando con maggiore energia i divini suoi affetti, arrivò a chiamare questa misera anima «arbitra del suo Cuore, oggetto delle sue compiacenze». L’anima, nel vedersi così sopraffatta dall’amore di Dio, si abbandonò tutta negli eccessi della sua infinita misericordia, traendo dal cuore una fiamma vivissima di carità, riamava quanto più poteva l’amorosissimo suo Dio, con quella stessa fiamma di carità che si degnò comunicarmi per mezzo dell’intima sua unione. Sopraffatta l’anima dal divino incendio, s’inabissò in Dio, suo Signore; mi parve di restare come incenerita, come annientata in me stessa, mi trovavo tutta tutta trasformata in Dio; perdetti ogni idea sensibile, restò il mio corpo alienato dai sensi.
Dal dì 6 aprile 1816 fino al dì 10 del suddetto mese, il mio spirito, per il fatto suddetto, restò come estatico. L’interno raccoglimento mi toglieva ogni idea sensibile, quando, per adempiere agli affari domestici, procuravo con molta fatica di scuotermi, adempito che avevo l’obbligo del mio stato, tornava Dio, per mezzo di un tocco interno, a richiamare lo spirito intimamente, in maniera che restavo inabile a proseguire ad agire sensibilmente.
Il dì 11 aprile, Giovedì Santo, nella santa Comunione, mi favorì Dio con particolare grazia, ma per essere cosa intellettuale, il mio scarso talento non mi permette di poterlo manifestare. Il gaudio, la dolcezza inondarono il mio cuore, e lo facevano ardere di santo amore.
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