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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE SECONDA – LE NOZZE MISTICHE (Dal 1813 al 1819)
    • 38 – PER TRE GIORNI RAPITA IN DIO
      • 2. Il buon sacerdote mi chiese la benedizione
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2. Il buon sacerdote mi chiese la benedizione

 

Terminata la Messa cantata, con stento mi portai alla mia casa, mancandomi quasi del tutto le forze naturali; dove fui visitata da un sacerdote forestiero di santa vita, il quale mi disse che Dio gli dava un forte impulso di unirsi al mio povero spirito, e che sentiva precisa necessità di manifestarmi tutta la sua vita, il suo spirito, svelarmi la sua coscienza.

Procurai a questa umile sua richiesta di oppormi, col dimostrargli la mia insufficienza, la mia viltà, la mia miseria, immeritevole affatto di tanto onore; ma il suddetto, preso dallo Spirito del Signore, mi obbligò ad ascoltarlo, protestandosi che il fine per cui voleva manifestarmi la sua vita, altro non era che per essere raccomandato al Signore. Con profonda umiltà mi manifestò il suo spirito, la sua coscienza.

Nel sentire le misericordie che Dio aveva compartito a questo suo servo, la povera anima mia si umiliò profondamente, nel vedere con quanta fedeltà corrispondeva questo ministro del Signore. Nell’ascoltare la sua austera penitenza, la continua orazione, le particolari comunicazioni che aveva con Dio, quanto amor di Dio possedeva questo eroico spirito, cose tutte che ad altro non servirono che a confondermi ed annientarmi nel proprio mio nulla.

Terminato che ebbe il racconto, mi disse che voleva pregarmi di una gran carità, che non gliel’avessi negata, mentre la chiedeva per amor di Dio. Il mio spirito non era ancora del tutto tornato nei sensi, per la comunicazione avuta, come già dissi, sicché poco e niente ero presente a me stessa, ma tutto riconcentrato lo spirito era in se stesso, godevo un bene molto particolare, godevo una semplicità di mente, una purità d’intenzione, che non mi permettevano di prevedere quello che questo servo di Dio fosse per domandarmi. Gli dissi: «Chieda pure, che, per amor di Dio, le prometto di fare quanto è per domandarmi».

Il buon sacerdote, pieno di umiltà, mi disse che voleva da me essere benedetto, piangendo mi disse che non gli negassi questa grazia. Qual sorpresa fu per me, non so dirlo; la sua richiesta riempì il mio spirito di santo orrore, risposi piena di confusione: «E come ardirà la creatura più vile che abita la terra benedire un ministro di Dio?».

Ero risoluta di non compiacerlo; ma da interno sentimento fui obbligata a condiscenderlo, mentre Dio mi fece intendere che la richiesta di questo suo ministro era di molto suo onore e di somma sua gloria, che dovevo assolutamente compiacerlo. A questa cognizione chinai il capo ai voleri di Dio, con profonda umiltà mi posi in ginocchioni e, recitando il Magnificat, profondata nel mio proprio nulla, mi umiliai dinanzi al mio Dio, poi mi alzai in piedi, invocando l’aiuto di Dio, benedii il buon sacerdote con il piccolo scapolare trinitario che tenevo indosso.

Il Signore si compiacque di fargli sperimentare i buoni effetti della povera mia benedizione, con donargli una viva contrizione.

Quanto mi restò obbligato il suddetto non è spiegabile, in quel momento gli convenne partire dalla mia casa senza poter proferire parola, tanto era sopraffatto dalla grazia di Dio e dalle abbondanti lacrime che versava dagli occhi; ma dopo pochi giorni mi favorì, e mi raccontò quanto di bene aveva sperimentato nel suo spirito per mezzo della povera mia benedizione.

La suddetta grazia si deve attribuire al beato Michele, che, come già dissi, poco prima si era degnato di farmi ritenere nelle mie mani la sua beata cappa.

Il buon sacerdote tornò a chiedermi la benedizione, ma Dio non mi permise di contentarlo, ma solo di implorare sopra il medesimo le divine benedizioni. Il buon sacerdote si alzò in piedi, restando contento e soddisfatto, promettendomi di ricordarsi di me nelle sue orazioni.

 




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