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Beata Elisabetta Canori Mora Diario IntraText CT - Lettura del testo |
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2. Mi fece riposare sul suo Cuore
Dal dì 2 novembre 1816 fino al giorno 17 del suddetto mese il mio spirito li passò in particolare raccoglimento.
Il dì 19 novembre 1816 nell’orazione subito levata, che fu per lo spazio di buone tre ore, si raccolse il povero mio spirito e si trattenne a parlare familiarmente con il suo Dio, che per la sua infinita bontà si era dimenticato affatto dei miei falli; non altro parlava che di predilezione, di amore, chiamava la povera anima mia «diletta sua figlia, arbitra del suo cuore», capace di ottenere dal suo infinito amore quanto brama e desidera. Io non so dire con quale maniera mi parla il Signore, mentre non si serve di parole sensibili, né di soliti accenti, ma per mezzo di particolarissime cognizioni mi dà a conoscere cose così grandi, che io non so né conoscere né spiegare; sopraffatta dall’ammirazione amo quel bene sommo, che non so né conoscere né amare, ma piena di ammirazione avanti all’incomprensibile mio bene, si umilia profondamente il povero mio cuore e si compiace che Dio sia immenso e che non possa comprendersi da umano intelletto. A cognizioni così sublimi si accese nel cuore una viva fiamma del suo santo amore. Raccolte le forze, come di volo, nel casto suo cuore mi fece riposare. La compiacenza, l’affetto, l’amore, un’ardente fiamma di santo amore bruciò il cuore, al sacro incendio l’anima mia tutta in Dio si trasformò. In quel momento si ritrovò vicina al sole di giustizia, che per partecipazione un altro sole mi fece divenire. Per compiacenza il suo splendore mi comunicò; dopo avermi fatto quanto mai bella con il suo splendore, che non ho termini di poterlo spiegare, pieno di compiacenza, così prese a parlare: «Diletta mia figlia, gradita mia sposa, vieni, entra e riposa nel casto mio cuore. Amata colomba, deh spiega il tuo volo, il casto mio cuore tuo nido sarà; e da questo momento la mia e la tua volontà una stessa cosa sarà. È tanto l’amore che ti porto, che quanto brami e desideri ti concederò». A queste parole l’anima mia si umiliò profondamente avanti al suo Dio, e riconcentrata tutta in se stessa, così prese a parlare: «Mio Dio, dove sono io? Sogno o son desta? Oh eccesso di amore! e donde procede l’immenso tuo amore, tanto parziale verso di me? Io, la più vile tra le figlie di Adamo, sol cerco, sol bramo compensare l’amore tradito. Angeli santi, aiutatemi voi a compensare il mio amato bene! O santi del cielo, datemi voi le vostre virtù! Mia cara madre, bella Maria, voi compensate la mia viltà». E in questi accenti tutta mi offrii al mio caro Gesù, rivolta a lui, così presi a parlare: «Cerco di ricondurre anime all’amante tuo cuore. Ecco la mia vita, ecco il mio sangue: tutto per tuo amore si verserà. Anime chiedo, caro Gesù mio, questa grazia non mi negar». Allora il Signore mi diede a vedere un gran numero di anime che, per mio mezzo, voleva salvare. A questa vista l’anima mia profondamente si umiliò, e riflettendo all’amore tradito a confronto di tanto suo amore, da vivo dolore sentivo spezzarmi il cuore. La gratitudine, la contrizione mi fece versare un profluvio di lacrime. Per riparare in qualche maniera al disonore che il Signore ha ricevuto da me, pensai che un’altra anima si offrisse al Signore, per così compensare la mia ingiustizia. Una fida compagna che mi ha dato il Signore, questa gli offrii, perché con voti di castità, obbedienza e povertà, potesse in qualche maniera compensare la mia infedeltà. E poi mi rivolsi ai santi patriarchi Felice e Giovanni, che si fecero presenti ai miei gemiti, al mio clamore. Rivolta a loro, così presi a parlare: «Deh voi degnatevi, miei cari padri, di ricevere quest’anima, e voi offritela all’eterno Dio, in compenso della mia iniquità». Allora il patriarca san Felice di Valois mi mostrò un piccolo scapolare trinitario, e mi fece intendere che in quella forma doveva essere lo scapolare che dovevo porre indosso alla giovane zitella, poi il glorioso santo così prese a parlare: «Fin da questo momento la riguarderai qual figlia, altro nome a lei imporrai». La mattina manifestai tutto al mio padre spirituale, il quale, dopo essersi raccomandato al Signore, credette di mettere in esecuzione quanto si è detto sopra. Sicché il giorno della festa del gran patriarca san Felice di Valois si diede il santo scapolare trinitario alla signora N. N. e gli si impose il nome di Maria Costanza del Cuore di Maria. Il suddetto nome fu dato dallo Spirito del Signore, mentre io dopo la santa Comunione incessantemente lo pregavo a manifestarmi qual nome dovevo imporre alla suddetta giovane. Per parte di particolare intelligenza ebbi cognizione di mettergli il suddetto nome, alludente alle riprove che quest’anima darà della sua fedeltà e costanza.
Dal giorno 19 novembre 1816 fino al dì 7 dicembre 1816, per aver trascurato lo scrivere, non posso render conto; solo dirò che, per mezzo di particolare ispirazione, ho ripreso il solito digiuno di una sola cioccolata ogni ventiquattro ore. Questo si intraprese da me il dì 25 novembre 1816, giorno di santa Caterina, fino al giorno del santo Natale, in preparazione a questo gran mistero m’invitò lo Spirito del Signore ad intraprendere questo digiuno ad imitazione di questa gloriosa santa; e, per sua infinita bontà, mi fece intendere che non meno grato gli sarebbe stato il mio digiuno di quello di questa benedetta santa.
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