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Beata Elisabetta Canori Mora Diario IntraText CT - Lettura del testo |
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4. Sopraffatta da uno svenimento mortale
Fui dunque il dì 25 gennaio 1819, giorno della conversione di san Paolo, fui sopraffatta da uno svenimento mortale, che mi privò di ogni idea sensibile, e questo fu nella medesima mattina che io mi offrii al Signore di patire per i motivi accennati: per sostenere la santa Chiesa e riparare in qualche maniera il castigo di Dio. Questo svenimento mortale mi privò di ogni sensazione, in maniera che, mi raccontano, il mio corpo, che giaceva per terra, fu preso da quattro persone, e posto sopra un letto, senza potermi spogliare. Mi dicono che questo fu alle ore 15 e mezza circa italiane, alle ore otto e mezza di Francia circa, il mio corpo dicono che non facesse nessun risentimento, ma che stette in profondo sonno fino alle ore due della notte. In questo tempo fecero molte prove per svegliarmi, ma tutto invano. Circa le ore tre italiane mi destai da questo profondo sonno e, parlando con sentimento, richiesi con somma premura di parlare con il mio confessore; ma da quelle persone che mi assistevano non furono curati i miei desideri e la mia grande premura che facevo, perché mi avessero chiamato il mio confessore, al quale volevo comunicare tutto l’accaduto, per avere da lui, per mezzo dell’obbedienza la maniera di regolarmi in sì grave battaglia, sì pericoloso cimento. Mi venne negato di poter parlare con il mio confessore, dicendo che l’ora era tarda per incomodare un religioso, che vi sarebbe stato tempo la mattina. Questa negativa mi fu molto sensibile, perché io conoscevo che la mattina non sarei più in stato di parlare con il suddetto. Rinnovai le mie istanze, ma non furono attese, allora feci un atto di rassegnazione in Dio, e invocando il suo divino aiuto. Allora seppi che dovevo patire senza alcun conforto umano, ma che tutto l’aiuto mi sarebbe somministrato da Dio. A questa cognizione adorai i divini decreti, e mi rassegnai pienamente alla sua santissima volontà, mi abbandonai nelle sue santissime braccia, acciò facesse di me quello che più gli piaceva. Difatti la mattina non fui più in stato di parlare né di capire cosa alcuna sensibile. Tanto crebbe a dismisura il male nel mio corpo, che fui sopraffatta da convulsioni tanto terribili, che in sei persone non mi potevano tenere. Tutto questo male era cagionato dai tormenti che soffrivo da quei maligni spiriti, parte per il gran dolore che soffrivo nei membri del corpo, parte per la vista orribile di quei maligni mostri, mi si erano confuse tanto le idee, che non riconoscevo più nessuno, neppure il mio proprio confessore, che, dalla pena di vedermi in uno stato così afflittivo, si ammalò. In questo mio gravissimo male io non curavo il patire sensibile, che per mezzo di tanti supplizi soffrivo da quei demoni infernali; ma la mia grandissima cura era di tenere sempre fissa la mia mente in Dio, per il grande timore che avevo di acconsentire alle loro suggestioni. Con incessanti preghiere invocavo il divino aiuto, che sperimentai sempre efficace; più mi fortificavo nella santa fede e più quei barbari demoni mi tormentavano con nuovi supplizi. Nove giorni e nove notti il mio corpo fu sempre dibattuto e malmenato da questi maligni spiriti: mi dicono che il mio corpo faceva tanta forza, che non si poteva più tenere per il gran moto convulsivo che faceva. Mi dovettero legare, perché non mi potevano più reggere. Molti furono i rimedi che mi fecero, ma il mio corpo non era capace di rimedi umani, per altre cause ero ridotta in quello stato. Molti furono i giudizi di quelli che mi vedevano tanto patire, particolarmente dei miei parenti e amici, molti credevano che non potessi sopravvivere a tanto strapazzo, a tanto patimento; segnatamente il medico disse che più di tre giorni un corpo umano non poteva reggere, ma che mi si dovevano infiammare i polmoni per il grande strapazzo di quelle fiere convulsioni.
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