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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

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  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 53 – I SUPPLIZI DEGLI SPIRITI MALIGNI
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53 – I SUPPLIZI DEGLI SPIRITI MALIGNI

 

Per non mancare all’obbligo troppo doveroso che mi corre di dare a vostra paternità reverendissima un esatto conto di quanto segue nel mio spirito, per soggettarmi in tutto e per tutto alla santa obbedienza ed al savio suo parere e consiglio, mi accingo ad accennare alla meglio che mi sarà possibile, quali e quanti furono i patimenti interni ed esterni che dovetti soffrire da questi ministri della potestà infernale, come ancora degli aiuti speciali che ricevetti dalla divina grazia e i favori particolari che ricevetti dall’altissimo Dio e con quale misericordia si degnò sostenere la mia grande miseria e debolezza, che al solo rifletterlo mi serve di umiliarmi ed annientarmi fino al profondo del mio nulla e di ringraziamento continuamente l’infinita bontà del mio buon Dio, per avermi di sua propria mano aiutata e difesa per riportare di questi nemici la compiuta vittoria.

Fu dunque il mio corpo battuto e falgellato con verghe di ferro, e questo si fece con tanta empietà da quei maligni spiriti che mi parve che mi avessero infrante tutte le ossa, che solo questo bastava per farmi morire, e al certo sarei morta, se non avesse dopo di questo accorso Dio medesimo a guarirmi, per mezzo di luce divina, uno splendore chiarissimo venne ad investire il mio malmenato corpo, e con il suo splendore contatto immantinente restai sanata e piena di gaudio di paradiso restò la povera anima mia, dileguandomi la desolazione e la tristezza.

Dio l’abbracciò e la strinse al castissimo suo seno, e la rese molto più forte per sostenere la battaglia dei spietati nemici.

In secondo luogo mi diedero un supplizio così barbaro, tutto proprio di casa del diavolo, che credetti veramente di non poterlo superare, credetti proprio di morire. Questo fu di mettermi al collo una collana ben grossa di ferro, e stringerla tanto con tanta crudeltà e barbarie che m’impedì di potere prendere cibo di sorta alcuna, né prendere neppure una stilla di acqua. Per la grave compressione mi si inulgirì tutta la gola e la bocca, che muoveva compassione a chi mi assisteva. Questo supplizio lo patii per lo spazio di otto giorni, oltre ciò con un crudo ferro mi martirizzavano la bocca e la gola, che per essere così esulgirita pativo spasimi di morte. Nel vedere che per otto giorni continui non avevo preso cibo di sorta alcuna, neppure una stilla d’acqua, con un male tanto grande alla bocca e alla gola, tutti credevano che non potessi campare, segnatamente il medico dava per disperata la mia guarigione.

Ma buon per me che la misericordia di Dio vegliava sopra di me: ecco il solito splendore divino, che tutta tutta a sé mi attrasse, ed immantinente guarisce tuttti i miei malori e consola e conforta la povera anima mia. Dio mi parla al cuore e mi chiama «oggetto delle sue più alte compiacenze», e mi stringe fortemente al suo castissimo seno; e come potrò mai ridire qual fuoco di carità mi comunicò l’eterno suo amore, qual coraggio mi donò per viepiù patire per la sua gloria e per il suo onore e per il bene della santa Chiesa e per la salvezza eterna delle anime dei miei prossimi.

 




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