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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 54 – GRAVI PATIMENTI E FAVORI DIVINI
      • 1. Un demonio prese la forma del mio confessore
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1. Un demonio prese la forma del mio confessore

 

Proseguo a raccontare i patimenti, i travagli, e le forti angustie ed il crudele gioco che questi barbari si prendevano di me, con tanta crudeltà e baldanza e a tutto loro costo mi volevano dare la morte, con tante pene e dolori che mi facevano soffrire, dopo avermi con tanto spasimo e dolore crocifissa, come già dissi nei passati fogli.

In questa dolorosissima situazione mi trattenevo, in mezzo a mille scherni, beffe ed insulti. Credevo, per l’acerbità dei forti dolori, ogni momento di rendere l’anima a Dio. Non mancò a questi maligni spiriti di trovare la maniera più crudele, la malizia più fina per tormentarmi l’anima e il corpo. Uno di questi maligni spiriti prese la forma del mio confessore, il suo abito religioso, il suo personale, la sua parlata e pronunzia spagnola, del tutto era a lui simile. Comparve dunque nella mia camera tutto rabbuffato ed adirato contro di me, chiamandomi impostora, superba, meritevole di ogni castigo e di ogni infame morte per non aver dato ascolto ai suoi consigli, perché molte altre volte mi era apparso questo finto confessore e mi aveva dato pessimi consigli, da me sempre disprezzati per mezzo della grazia di Dio.

Qual pena recasse al povero mio spirito questo disprezzo non è immaginabile: «Come», dicevo, «il mio confessore, sa perché patisco, pure lui mi consigliò, mi obbligò di offrirmi qual vittima di espiazione per i presenti bisogni di santa Chiesa, e per il bene di tutto il Cattolicesimo. Come, adesso si è dimenticato di tutto quello che nello scorso mese io gli dissi, che l’eterno divino Padre, per mezzo di Gesù Cristo, aveva per sua bontà accettato il mio povero sacrificio, e che degnato si sarebbe di dar luogo alla sua misericordia, col sospendere l’imminente flagello, ma che io avevo molto da patire e dovevo sostenere una crudele battaglia con la potestà delle tenebre, e che tutto l’inferno avrebbe congiurato contro di me? Adesso che si avvera la promessa che il Signore mi ha fatto e sono sul punto di ottenere la divina misericordia, invece di aiutarmi e soccorrermi, non solo mi abbandona in questo grave patimento e grande pericolo, ma di più mi disprezza, mi schernisce, mi insulta, mi consiglia ad arrendermi alle voglie dei miei nemici. Io lo credevo un santo, e adesso mi pare un uomo tanto cattivo e malizioso. Questo veramente non l’avrei mai creduto. Qual pena mi desse questa frode, questo malizioso inganno di Satanasso non è possibile i1 poterlo spiegare; pena grande, credendo che in realtà questo ministro di Dio avesse pervertito e fosse diventato un apostata; pena grande, per vedermi priva di ogni umano soccorso, mentre da altri non potevo sperarlo, ma solo dal mio proprio confessore, il quale sapeva tutto il fatto, e per avermi diretta per lo spazio di anni quattordici, conosceva appieno il povero mio spirito.

Questo apparente inganno dava tanta afflizione al mio spirito, tanto era grande la pena e l’angustia che non la potevo arrivare a superare. Ogni giorno mi si rendeva più sensibile. Questo malizioso inganno seguì fino dai primi giorni della mia tribolazione, e sempre più si accrebbe l’inganno, fino all’ultimo giorno che, con la grazia di Dio vinsi la forte battaglia e restai vittoriosa dei miei spietati nemici.

Il finto confessore era il più crudele mio giudice e carnefice insieme, mentre ogni giorno viepiù incrudeliva contro di me, ordinando a bella posta a quei maligni spiriti che se non volevo arrendermi alle loro voglie, mi avessero strapazzato con crudeli tormenti. E quando stavo così derelitta ed agonizzante sopra la croce, di sua propria mano mi scagliò cinque grosse pietre, a guisa di selci infuocati, nei fianchi, dove mi fecero cinque dolorosissime piaghe, che credevo proprio di morire per il grande spasimo. Credeva il finto confessore che con questo altro barbaro patimento io mi arrendessi, ma troppo grande era l’assistenza del mio buonissimo Dio, che a tutti i momenti sperimentavo i tratti benefici della sua divina grazia.

Vedendo dunque che io non mi arrendevo, ma ero sempre più forte e stabile nell’essere fedele al mio Dio, disprezzando ogni sorta di patimento, e con eroica fortezza, somministratami dalla grazia di Dio, ero sempre più forte, con somma rabbia, pieno di sdegno se ne partì furiosamente dalla mia camera.

 




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