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Beata Elisabetta Canori Mora Diario IntraText CT - Lettura del testo |
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57 – LA MIA MISERICORDIA NELLE TUE MANI 1. Volevo consultare un altro maestro di spirito
Riprendo il racconto. Risposi, dunque, al mio direttore che più non lo conoscevo per mio confessore, ma che solo lo riconoscevo per un religioso, e come tale lo stimavo e lo rispettavo, e non altrimenti, e che non credevo di essere obbligata di obbedirlo a quanto mi aveva comandato, cioè di obbedire ai miei parenti. Mi ero veramente prefissa di sentire il parere di un altro maestro di spirito, per mia quiete e per assicurarmi se il povero mio spirito andava ingannato da falso spirito, sebbene nella mia coscienza non sentivo per questo la minima pena, perché non trovavo che mai avessi né finto, né alterato, né falsificato alcuna cosa; ma trovavo nella mia coscienza il buon testimonio di aver sempre palesato, con tutta ingenuità e schiettezza, quanto passava nel mio spirito ai rispettivi miei direttori. Successivamente uno agli altri, segnatamente a questo lodato padre, che sono anni quattordici che dirige il mio spirito, non trovavo di averlo mai e poi mai ingannato, ma solo di avergli sempre manifestato il mio spirito con semplicità e purità, e senza altro fine che per glorificare Dio e per assoggettarmi, con tutta umiltà e sommissione, al suo savio parere e consiglio. Trovavo ancora di averlo sempre obbedito in tutto quello che mi aveva comandato, e di non aver mai fatta cosa alcuna, riguardante il mio spirito, senza il suo permesso. Queste riflessioni mi rendevano quieto e tranquillo lo spirito, ma quello che mi affliggeva era che mi pareva di conoscere che il mio padre spirituale dimostrasse della dubbiezza circa il mio spirito, dubitando che in me ci fosse della falsità. E questo lo rilevavo dal suo portamento e da varie proposizioni da lui dette in tempo del grave mio male, che venivano a disapprovare il mio spirito. Questa fu una cosa che mi cagionò molta afflizione, perché la sua dubbiezza mi faceva credere che io fossi ingannata dal demonio. A questo solo oggetto avevo deciso di sentire, per mia quiete, il parere di un altro direttore. Dicevo: «Se in me c’è sbaglio, se in me c’è errore, voglio assolutamente che si corregga, a costo di ogni mia grave pena, perché io altro non desidero che di salvare questa povera anima mia, a gloria del medesimo Dio. E se mai per mia disgrazia vi fosse nel mio spirito errore o sbaglio sono contenta di farne la più aspra e severa penitenza». Questi erano i miei sentimenti, che poi non si misero in pratica, mentre il mio direttore prudentemente si oppose a questa mia determinazione, questo mio risoluto parlare mise un grande giudizio ai miei parenti, i quali impallidirono e si ammutolirono, e non ebbero più ardire di parlare, mentre credevano di arrivare al loro intento, supponendo che io mi soggettassi ad una erronea obbedienza. In simile guisa avevano subornato il medico, dicendogli che era ordine del mio confessore che mi soggettassi alla loro volontà, perciò il loro sentimento era di legarmi e dissanguarmi. Il buon medico, per non contraddirli, essendo anch’esso tentato contro di me, mi ordinò subito due copiose sanguigne; ma la mia dichiarazione fatta al mio confessore mandò all’aria in un momento il loro piano, restando tutti confusi, non sapendo più che fare.Intanto, il suddetto padre se ne andò al suo convento.
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