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Beata Elisabetta Canori Mora Diario IntraText CT - Lettura del testo |
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3. Un forte rimprovero dalla divina giustizia
Il giorno 25 marzo 1821, festa dell’Annunciazione di Maria Santissima, dopo la santa Comunione, veramente ebbi a morire per il forte rimprovero che ebbi dalla divina giustizia per essermi fatta mallevatrice con l’offrirmi in unione dei meriti infiniti di Gesù Cristo qual vittima di riconciliazione, affinché la divina giustizia non avesse, col suo onnipotente braccio, vendicato giustamente con il furore della sua inesorabile giustizia i tanti oltraggi ed enormi ingratitudini e nefandità che si commettono dalla maggior parte degli uomini, che a briglia sciolta camminano la via della perdizione. Mi vidi dunque in un momento quasi sopraffatta dai fulmini dell’irato suo sdegno, che cercava da me soddisfazione. Intimorita ed oppressa non sapevo cosa rispondere per mia discolpa, mentre, per mezzo di lume interno, chiaramente conoscevo il disprezzo e l’abuso che si fa della divina misericordia di un Dio di infinita maestà. Questi uomini, miserabili e senza senno, altro non fanno che rendere a Dio male per bene, abusando della sua infinita misericordia. Ogni giorno più divengono baldanzosi e superbi, cercando di conculcare la santa fede e la sua divina legge con opere e dettami i più nefandi di miscredenza e di apostasia, servendosi delle stesse parole delle sacrosante Scritture e santi Evangeli per pervertire i giusti sensi, per sostenere la loro perversa malizia e massime indegne. Sdegnato Dio da questi ed altri eccessi di iniquità, quasi pentito di avere ascoltato le mie suppliche ed il povero mio sacrificio che da indegna peccatrice avevo fatto per ordine di Dio medesimo e con il permesso del mio padre spirituale, come si è riferito nei precedenti fogli. Vedendomi dunque redarguita tanto aspramente dal mio Dio, e vedendomi balenare d’intorno i fulmini della sua irritata giustizia, non sapevo a quale partito appigliarmi. Piena di timore e di spavento, mi scusavo dicendo: «Mio Dio, luce eterna, placate il vostro giustissimo sdegno irritato giustamente contro di me, miserabile peccatrice. Ma per gli infiniti meriti del vostro santissimo figliolo e per la sua vita, passione e morte, abbiate misericordia di me, placatevi per la vostra infinita carità, prendete sopra di me qualunque soddisfazione, purché resti placata la vostra divina giustizia. Eterno mio Dio, perdonate il mio ardire, per l’assunto che mi sono incaricata di sostenere l’iniquità degli uomini, ma mi protesto che altro non cerco, altro non bramo, altro non desidero che la maggior gloria vostra. A questo solo fine mi indussi a pregarvi e farmi mallevatrice di sì forte incarico». E volgendo le mie afflitte pupille gemebonde dal dirotto pianto, con interrotti sospiri, tremante qual foglia all’urto di rapido vento, tutta inorridita dallo spavento, riconcentrata nell’abisso del mio nulla, mi volgevo verso l’umanità di Gesù Cristo, e così presi a parlare: «Amorosissimo mio Gesù, voi voleste e mi comandaste che mi offrissi al vostro divin Padre in unione dei vostri santissimi meriti. Vi prego di aiutarmi adesso, in questo doloroso conflitto: la sua giustizia è contro di me. Aiutatemi, Gesù mio, e non permettete che l’anima mia perisca».
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