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Beata Elisabetta Canori Mora Diario IntraText CT - Lettura del testo |
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3. Conoscevo di essere tutta immersa in Dio
Il giorno 25 aprile 1821, si raccolse il mio spirito nelle orazioni, e mi parve di trovarmi nuovamente in quell’amenissimo giardino anzidetto, dove mi parve di vedere la gran Madre di Dio con il suo santissimo figliolo. Al solo vedere questi divini personaggi, credetti di perdere la vita, per il profondo ed umile rispetto e grande venerazione che sentivo nel mio cuore, che prostrata al suolo con la fronte per terra, annientata in me stessa, piena di lacrime, ricolma di santi affetti, mi mancavano gli accenti di proferir parola; ma la pietosa Madre, conoscendo il mio grande timore, mi fece coraggio e si degnò approssimarsi verso di me, e conducendomi con lei in una parte superiore e molto più amena di quel medesimo giardino, dove la povera anima mia ricevette grazie e favori molto particolari dall’umanità santissima di Gesù Cristo, che quivi era assiso, vicino ad una bellissima e chiarissima fonte, il chiarissimo splendore che tramandava dall’ombra del suo santissimo corpo, rendeva piacevole questo ameno soggiorno, che rapì il mio spirito in guisa tale che io non ero più in me stessa, ma tutta assorta in Dio. Estatica restai senza avvedermi qual grazia mi comunicasse Dio, perché fui sopraffatta da amoroso deliquio; ma conoscevo di essere tutta immersa in Dio, e godevo nell’anima un immenso gaudio di paradiso. Sentivo nell’intimo del cuore dolce voce, che mi parlava così: «Inoltrati viepiù, o diletta mia figlia, non ti arrestare alla chiarezza del mio splendore. Sono un Dio grande ed incomprensibile è vero, ma sono amante delle mie creature. Il santo timore ti arresta, ma l’eccesso dell’amor mio a me ti avvicina. Vieni, vieni senza timore, mentre, per via di trasformazione, io mi compiaccio di intimamente unirti alla mia immensità, così diverrai una stessa con me, partecipando del mio infinito essere». Qual nube candida, percossa dai benefici influssi del sole di giustizia, ad un tratto mi vidi tutta raggiante di luce e medesimata mi vidi, in un istante, in quella grandissima luce inaccessibile. Quale stupore e qual meraviglia recasse al mio spirito, qual profonda umiltà, qual gaudio di paradiso, qual scienza si degnò Dio di infondere nell’anima, affinché potesse contemplare le sue divine perfezioni. Queste divine cognizioni destarono nell’anima una semplicità, una purità proprio angelica, una pazienza ed una mansuetudine tanto perfette, che io non so neppure spiegarlo. Un aborrimento poi tanto grande a tutte le cose del mondo, un desiderio grandissimo di piacere solo al mio amorosissimo Dio, a costo di ogni mio grave patimento, non solo, ma una brama di patire per amor suo ogni sorta di avvilimento e travaglio. Oh come si faceva sentire la viva fiamma della santa carità nel povero mio cuore. Oh come ne prendeva il possesso. Oh come si impadroniva di tutta l’anima mia, di tutte le mie potenze, di tutti i miei affetti, in una parola di tutta me stessa, in certa maniera che non so spiegare; ma come io non fossi più padrona di me, ma solo lo Spirito del Signore arbitro fosse in tutto e per tutto, senza più potermi né negare né oppormi all’amabilissima volontà del mio Dio. Questa cognizione mi era di sommo contento e di grande consolazione.
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