Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Beata Elisabetta Canori Mora Diario IntraText CT - Lettura del testo |
|
|
4. A un tratto vedo l’amato Pastore
Il giorno 12 maggio 1821, stando in orazioni fui sopraffatta da interno raccoglimento e da una quiete di spirito molto particolare. In questo tempo mi parve di trovarmi in una amena campagna, dove vedevo un prato deliziosissimo di verdeggianti erbe e tutto smaltato di bellissimi fiori. Vedevo nel suddetto prato molte anime sotto il simbolo di pecorelle, le quali erano tutte intente a pascolare quelle preziose erbe. Non mancavano queste di invitarmi, e replicando più volte i loro inviti, affinché andassi con loro a gustare e a godere l’amenità di questo smaltato prato; ma la povera anima mia, che sotto l’immagine di pecorella la vedevo, questa ricusando con dolcezza i loro inviti, se ne andava verso il bosco, e salendo un erto monte, sterile affatto di ogni pascolo, solo ripieno di triboli e spine, non altro cercando che l’amato pastore, ricusando ogni altro sollazzo, per trattenersi con lui da appresso, e per non gustare altro cibo che quello del pane di vita eterna, che somministrato gli è stato per ben altre volte dal divino pastore. Solinga dunque me ne stavo nel deserto, sfogando gli amorosi affetti del mio povero cuore. Mi protestavo veracemente di non volere altro che stare al fianco del mio caro ed amato pastore. Rinunciavo a questo oggetto ogni consolazione, ogni soddisfazione, ogni sorta di onori e di piaceri, benché leciti e santi, solo cercando di soddisfare l’oggetto amato, protestandomi di essere questo l’unico scopo dei miei desideri, di stare a lui vicino per divenire una stessa con lui e per potere copiare in me le sue divine virtù; per essere, per mezzo della sua divina grazia, un perfetto modello del tutto simile al mio amato pastore. Gli dimostravo l’affetto più grande, più vivo che ardeva nel mio cuore. In questa guisa ero tutta intenta a rintracciare le sue pedate. Ecco ad un tratto vedo l’amato pastore che seduto se ne stava sopra un greppo. A questa vista quanti fossero i santi affetti che assaltarono il mio cuore non è possibile il poterlo esprimere. Il divino pastore amorosamente mi invitò a riposare con lui ed a gustare di quel pane che famelica mi dimostravo di volere. Andava dunque anelante la pecorella al suo pastore, e piena di gaudio e di contento si protestava di tenere per bene impiegate le fatiche che le costava di averlo ritrovato. Con molte sante espressioni, e più con gli affetti del cuore, che somministrati mi venivano dalla carità, ebbra di santo amore accettava l’invito dell’amato pastore. Oh carità grande dell’amorosissimo Dio! Riposar mi faceva nel suo castissimo seno, e mi dava a mangiare di un pane bianchissimo che teneva nelle sue santissime mani. Era tanta la gioia ed il contento che godevo nell’anima, che dubitavo di perdere questo gran bene che avevo ritrovato per pura misericordia di Dio. Riconoscendomi affatto indegna di favore sì segnalato, pregavo il divino pastore che permesso non avesse di mai e poi mai potermi allontanare da lui, nonché diffidassi del suo amore infinito; ma, bilanciando la mia grande viltà e miseria, dubitavo di allontanarmi dall’amor suo. Con sentimento il più verace e con l’affetto il più vivo d’amore, gli dicevo: «Mio caro ed amato pastore, vi prego di togliere alla vostra pecorella quella libertà che gli donaste, e renderla impossibilitata affatto di potersi da voi allontanare. Rinuncio alla mia libertà, alla mia volontà, per compiacere la vostra amabilissima e per me sempre gratissima volontà». E, sopraffatta da un profluvio di lacrime, dicevo: «Chi mi assicurerà di stare sempre con te, tu solo puoi rendermi sicura con un solo atto della tua volontà». Ma chi lo crederebbe che l’amore suo passasse tanto oltre? Per vedere contenta e sicura la povera anima mia, il buon pastore pose la sua mano destra sopra il mio dorso, e con accenti amorosi così mi parlò: «Vivi sicura, da me non ti allontanerai mentre la libertà di partir da me tu più non hai». Assicurata di poter fare con il mio amabilissimo Signore la permanenza, dolce sonno mi rapì, ed in braccio al mio amato pastore dolcemente e soavemente riposai e nel sonno desideravo di non svegliarmi mai più. Non sto qui a raccontare i buoni e santi effetti che nel mio povero spirito cagionò questo favore, per non essere tanto molesta a vostra paternità reverendissima con tanto tedio, mentre a me manca la maniera di spiegarmi, per la mia ignoranza e a vostra reverenza non manca intelligenza per conoscere gli effetti mirabili della grazia.
Dal 12 maggio fino al giorno 30 detto 1821, il mio spirito, assistito dalla grazia divina, ha sempre procurato di mantenere le buone e sante impressioni che aveva ricevuto negli anzidetti favori e grazie che il Signore, per sua infinita bontà, si è degnato compartirmi con l’esercizio delle sante virtù e con il raccoglimento interiore e con la retta intenzione di piacere solo al mio Dio, in tutte le cose, non curando cosa alcuna della terra, e se permesso mi fosse vorrei dire neppure del cielo, ma solo il mio impegno era ed è essere perduta amante dell’eterno suo amore, in questo solo si diffonde il povero mio spirito di compiacere la sua santissima volontà, senza cercare il mio proprio interesse, ma la sola sua gloria.
|
Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
IntraText® (V89) Copyright 1996-2007 EuloTech SRL |