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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 61 – L’ECCESSO DELL’AMORE DI GESÙ
      • 2. Prima e dopo la comunione
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2. Prima e dopo la comunione

 

Il giorno 4 luglio 1821, nella santa Comunione, ero tutta annientata in me stessa nel considerare l’infinita bontà del mio Dio, che fra pochi momenti dovevo ricevere nel santissimo sacramento dell’Eucaristia. Volevo e non volevo accostarmi a riceverlo: volevo accostarmi per il grande desiderio ed amore che sentivo verso il mio Dio sacramentato, non volevo accostarmi perché mi riconoscevo affatto indegna. Piangevo amaramente le mie grandi ingratitudini: «Ah Gesù mio», dicevo, «l’amore, il trasporto che sento verso di voi, sacramentato mio bene, mi obbliga, mi necessita di ricevervi in questo sacramento d’amore, anzi vorrei ricevervi ogni ora, ogni momento. Ah, sì, Gesù mio, vorrei ricevervi più volte che non respiro, ma la mia indegnità, la mia cattiva corrispondenza mi obbliga di allontanarmi da voi. Mio Dio, che farò se mi allontano da voi per riverenza? Ah, non mi regge il cuore di partire da questo sacro altare. Perdonate per carità il mio ardire. Voi non sdegnate i peccatori pentiti. Eccomi dunque ai vostri santissimi piedi, come una pentita Maddalena con le mie lacrime li laverò, ma io non ho i capelli per asciugarli. Prenderò il povero mio cuore e come in guisa di un pannolino asciugherò i vostri piedi santissimi, così il povero mio cuore resterà asperso del vostro preziosissimo sangue, che scaturisce dalle gloriose cicatrici che avete voluto conservare nel vostro santissimo corpo glorioso. Sì, Gesù mio, in quel prezioso balsamo astergerò il mio cuore».

Con questo umile sentimento e con abbondanti lacrime mi accostai a riceverlo. Fatta la santa Comunione si concentrò il mio spirito, e in questo tempo mi si diede a vedere l’umanità santissima di Gesù Cristo. Qual bellezza! Qual splendore! Qual rapimento di spirito, non so spiegarlo. La povera anima mia con grande rispetto e profondissima umiltà e molta venerazione si prostrò ai suoi santissimi piedi, con profluvio di lacrime che dai miei occhi a gran copia versavo.

«Asciuga pure i miei piedi», mi disse Gesù Cristo, «asciuga pure, mi dài piacere. Ricevo il tuo umile sentimento con mia somma compiacenza».

Ed intanto prese il mio povero cuore nelle sue santissime mani, sotto la forma di pannolino, e con grande compiacenza se lo stringeva al suo amorosissimo cuore; poi lo stringeva fra le sue santissime mani; poi lo piegava e lo volgeva ora da una parte, ora da un’altra, compiacendosi di vederlo nelle sue mani tanto pieghevole e flessibile.

Era dunque il pannolino nelle mani di Gesù Cristo divenuto così bello e così risplendente che rapiva il mio sguardo, e sopraffatta da una profonda umiltà, andavo contemplando l’infinita bontà del mio Dio, e piena di ammirazione e di stupore, andavo ripetendo: «Mio Dio, cosa mai trovate in me, che tanto vi piace? Io altro non sono che un cumulo di iniquità».

 




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