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Beata Elisabetta Canori Mora
Diario

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE TERZA – ALLA MAGGIOR GLORIA DI DIO (Dal 1820 al 1824)
    • 63 – ALLA SOMMITÀ DELLA GLORIA DI DIO
      • 3. Il tempio della mia anima
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3. Il tempio della mia anima

 

Nel tempo che ero sopraffatta dallo stupore, alla considerazione dell’infinita bontà di Dio, che mi arrossiva e confondeva per la mia grande viltà e scelleratezza, sentivo ancora grandissima pena che un Dio d’infinita maestà si trattenesse in luogo tanto vile ed abbietto, quanto è la povera anima mia.

Il mio Dio, per sua infinita bontà, si degnò di sollevarmi da questo profondo annientamento, che mi recava tanta pena e tanta afflizione.Così si degnò Dio di parlare alla povera anima mia, che stava gemendo fra mille affanni e pene: «Figlia», mi disse Dio, «figlia amata, figlia, solleva la tua mente, rallegrati con l’infinita mia bontà. Dà uno sguardo all’anima tua: io l’ho formata mio tempio, mia abitazione, osserva, quale edificio io la formai». A queste parole, fisso lo sguardo della mente e vedo un tempio, un edificio così bello, che io non ho termini per poterlo spiegare, non so se tempio o edificio possa chiamarsi cosa così bella, che con parole non si può spiegare, io la chiamerò opera grande della mano onnipotente di Dio, procurerò, per mezzo della grazia del Signore, di fare di questo edificio che io vidi, la descrizione, alla meglio che potrò, ma conosco bene che mi mancano i giusti termini per poterlo indiziare.

Questo era un fabbricato quadrato ed insieme rotondo, dentro il quale vi erano innalzate e stabilite preziose colonne, di una pietra tanto bella che io non saprei a qual pietra assomigliarla. Erano queste colonne nel numero di dodici, erano così ben disposte in simmetria, che io restai incantata nel rimirarle; il cornicione di questo fabbricato era tanto bello che non so descriverlo. La sommità di questo non aveva soffitto, ma era tutto aperto che si vedeva il cielo in molta vicinanza. Ma il più bello, il più nobile, il più vago ed amabile che vi era in questo luogo era Dio medesimo che, con grande magnificenza, si tratteneva nel mezzo del suddetto tempio, nella cui sommità se ne stava assiso sopra la sua gloria, sostenendosi senza alcun punto di appoggio.

Qual meraviglia, quale stupore, quale contento arrecò al mio cuore, vedere il mio Dio assiso sopra la sua gloria, nel mezzo del tempio, sostenendosi da se stesso, con la sua onnipotenza. Ben si avvide Dio dello stupore che ne aveva concepito il mio spirito restato estatico nel vedere tanta magnificenza: «Non ti stupire, o figlia», mi disse Dio io non ho bisogno di un sostegno, né di punto di appoggio; ma io sono il sostegno stesso!».

A queste parole, illuminato il mio spirito da questa verità, mi umiliai profondamente e, con grande copia di lacrime, confessai la mia grande ignoranza.

Una moltitudine si santi angeli si trattenevano ai piedi di quelle colonne, stavano tutti genuflessi, con sommo rispetto e riverenza, lodando e benedicendo Dio, mostrando insieme la loro ammirazione nel vedere l’opera del Signore. Il mio spirito, non meno di questi spiriti celesti, si annientava e umiliava profondamente, sopraffatto da tanta magnificenza, sentivo un amore grande verso il mio Dio e insieme di dolore, per averlo offeso.

Nel tempo che mi struggevo in lacrime, per i santi affetti che uniti insieme facevano prova di levarmi la vita in ossequio al mio Dio, io non so come fosse, né saprei certamente ridirlo, stando in questi umili ossequi e profondo abbassamento di tutta me stessa, mi trovai alla sommità della gloria di Dio, ai suoi piedi santissimi, sotto la forma di tenera agnelletta. Da qual timore fui sopraffatta nel vedermi tanto vicina al mio Dio, che piena di santo timore mi nascondevo fra gli splendori della sua medesima gloria, per non essere da Dio, né dai santi angeli, osservata, tanto era il mio abbassamento, annientamento e propria cognizione, che in mezzo a tanta magnificenza altamente mi confondevo e profondamente mi umiliavo; ma come questo favore non bastasse a dimostrarmi l’amore che mi porta Dio, benché io ne sia tanto indegna ed immeritevole, volle per eccesso della sua infinita bontà, volle farmi un altro favore, ed è che, presa nelle sue santissime braccia la piccola agnelletta, la strinse amorosamente al castissimo suo seno, dopo averla così teneramente abbracciata, la bendò con le sue mani e la condusse con lui, portandola nelle sue santissime braccia, le fece trapassare i cieli, io niente vedevo, per essere così bendata nell’intelletto, ma godevo un bene nell’anima tutto proprio di paradiso, una profonda umiltà, una semplicità di spirito, una purità di mente, un’ardente carità verso il mio Dio, che non ho termini per poterlo spiegare.

Si degnò Dio di attingere l’agnelletta in certe preziose acque e di propria mano lavarla, e poi condurmi in altro soggiorno, così mi disse: «Figlia, ringrazia l’infinito mio amore che gratuitamente in questo giorno ti fa degna di sì alto favore, sappi che ti degno di passare ad un alto grado di perfezione».

 




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